La recente sentenza della Corte di Strasburgo, che ritiene incoerente la legge italiana in materia di fecondazione assistita, ha suscitato vivaci e numerose reazioni. Secondo i sette giudici di una sezione della Corte Europea il sistema legislativo italiano in materia di vita è incoerente: da una parte la legge 194 sull’interruzione di gravidanza permetterebbe di sopprimere quelle vite umane ritenute non idonee, da un’altra parte la legge 40 sulla fecondazione assistita vieta la selezione degli embrioni per impiantare quelli sani e condannare a morte quelli ritenuti affetti da patologie o da altro. Di per sé, al di là di quanto poi avviene, neanche la 194 consente l’aborto eugenetico, perché l’interruzione volontaria di gravidanza è ammessa solo in presenza di un pericolo serio e grave per la salute della donna. Molti si sono levati contro questa decisione, contestando che a Strasburgo, alla Corte dei Diritti dell’Uomo, sono tutelati solo i diritti dei più forti, cioè di coloro che possono parlare e ricorrere; non certo degli embrioni. Vale la pena di ricordare che i diritti dei deboli non sono diritti deboli e la civiltà di un popolo la si coglie anche a partire dalla capacità che ha di tutelare i più fragili tra i suoi membri.

Ora, quanto avvenuto suggerisce qualche considerazione non nel merito della sentenza, quanto a riguardo delle reazioni che vi sono state in campo cattolico: esse sono appropriate e doverose. Intanto, voci autorevoli hanno valutato il pronunciamento della Corte Europea sotto diversi profili: umano, etico, scientifico, giuridico. Inoltre, hanno subito richiamato l’opinione pubblica su quanto di grave stava avvenendo: l’embrione ancora una volta era negato nel suo statuto e offeso nella sua dignità.

Sembra che quello dei cattolici, impegnati in ambiti diversi – da quello politico a quello scientifico – sia il ruolo delle sentinelle, che vegliano sulla città, costruita nei secoli ed arricchita da un patrimono di cultura umanistica. Essi opportunamente vigilano perchè non venga meno quanto faticosamente acquisito; sono cattolici, ma non svolgono un ruolo di parte, perché sono impegnati a difendere e promuovere quell’umanità che è in ciascuno, credente o meno. Non hanno interessi di parte. Mettono un’attenzione e offrono una competenza, a cui molti altri possono attingere e sviluppare, creando un autentico pensiero cattolico. La parola è la forza della Chiesa: essa, evidentemente, non dispone di alcun mezzo coercitivo né ha disposizioni forze economiche da incrementare. La parola, se è piena di significato e semplice, raggiunge le masse e coinvolge anche queste nei temi più dibattuti.

In questo impegno culturale hanno un ruolo grande i mezzi di comunicazione cattolici: dalla carta stampata ad internet; dalle radio alle televisioni. Rientra nella loro missione il contribuire ad arricchire il pensiero, mostrando la forza e la pertinenza della fede in ordine alla risoluzione delle sfide contemporanee. Fare cultura attraverso i mezzi di comunicazione è qualcosa di estremamente concreto ed importante, perché non si tratta di esprimersi su temi marginali rispetto all’esistenza, ma su che cosa oggi sia da perseguire e su cosa sia da evitare in ordine al riconoscimento della dignità umana. È un compito che, molte volte, ha l’importanza della stessa opera di evangelizzazione e di formazione cristiana, come ricorda il Concilio nel decreto “Inter mirifica”.

Sicuramente sono molti gli aspetti che tutti devono tenere presente in questa irrinunciabile missione a favore dell’uomo. Un’attenzione davvero fondamentale è quella di comporre gli aspetti di quanto accaduto nella giusta proporzione. Ad esempio, è facile che in questioni di bioetica vi sia una innegabile componente di sofferenza e di dolore. Questa, evidentemente, non può essere soggiaciuta o considerata solo in parte. Però, neanche, può diventare il motivo principale per ricorrere ad una pratica da laboratorio, che ha come risultato quello di sopprimere vite umane. Ancora, molte volte, sembra che l’elemento più significativo sia il desiderio, che non di rado diviene diritto. Ad esempio il desiderio di un figlio diviene il diritto ad un figlio; il desiderio di un figlio sano diviene il diritto ad una figlio sano. Queste e simili posizioni devono essere accuratamente lette ed interpretate, per cogliere un’intrinseca fragilità: davvero esistono questi diritti? Se sono desideri, a quali condizioni possono essere conseguiti? Soprattutto, occorre che la riflessione, oltre a tenere conto dei diritti di tutti, di quelli degli adulti, ma anche di quelli degli esseri umani nella fase iniziale del loro sviluppo, sia svolta sul piano dei valori e dei significati. In altre parole sul versante della vera ed autentica umanità. Chi è quell’embrione, di cui si stanno valutando le qualità fisiche e lo stato di salute? Non un semplice prodotto del concepimento, ma un figlio, che pur nella sua novità biologica, ha le caratteristiche di base del padre e della madre, caratteristiche che nello sviluppo diverranno di ordine somatico, caratteriale, etc. Egli risponderà alle attenzioni doverose che gli adulti avranno nei suoi confronti con una ricchezza di relazioni. Questa è la persona umana.

A queste considerazioni, squisitamente razionali, giunge il fecondo pensiero cristiano, capace, poi, di indicare quell’orizzonte soprannaturale, in cui ritrovare in pienezza quanto sostenuto su un piano razionale.

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