Il movimento per l’acqua pubblica non si è fermato. Dopo aver raggiunto uno storico traguardo con la vittoria al referendum del 12-13 giugno, ha continuato il lavoro sui territori per chiedere che sia rispetatto il voto popolare e venga data attuazione alla volontà espressa dalla maggioranza assoluta dei cittadini: in primo luogo la non obbligatorietà alla privatizzazione dei servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti), in secondo luogo l’esclusione della possibilità di garantire ai gestori dei sistemi idrici, attraverso la tariffa, la remunerazione del capitale investito. La combinazione dei due esiti referendari rende estranea alle logiche del profitto la gestione dell’acqua e pone le condizioni concrete per la sua affermazione come bene comune e diritto umano universale; per quanto riguarda la gestione di rifiuti e trasporti pone comunque un freno alle spinte privatizzatrici e ne permette la gestione totalmente pubblica. L’offensiva della speculazione finanziaria di questi ultimi mesi ha tuttavia fortemente contribuito a eludere il rispetto del risultato referendario. Ma più che una causa la speculazione finanziaria assume i contorni di un pretesto con cui le “lobby” liberiste dello schieramento politico hanno indotto a riaprire la porta dei servizi pubblici locali alla privatizzazione: è ormai consolidata la prassi per cui, quando è in campo un’emergenza, reale o manovrata, vengono imposte scelte in deroga a leggi e norme vincolanti. La cosiddetta “manovra estiva” del governo (art. 4) ha così reintrodotto l’obbligo della privatizzazione dei servizi pubblici locali, ad esclusione dell’acqua. È pur vero che, sul piano della comunicazione con i cittadini, il movimento per l’acqua pubblica si era attenuto al suo tema specifico, ma è ancor più vero che l’art. 23 bis del decreto Ronchi abrogato dal primo quesito del referendum riguardava le modalità di affidamento di tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica (acqua, rifiuti, trasporti): pertanto reintrodurre una norma abrogata da un referendum si configura come una palese violazione dell’esito referendario. Da qui si è imposta la necessità di lanciare, a livello nazionale, una campagna per ribadire perentoriamente: “Il mio voto va rispettato”.
Il contesto lombardo si è poi contraddistinto nei giorni scorsi per la sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità di due commi dell’art. 49 della legge della Regione Lombardia n. 26/2003 (così come modificata dalla legge regionale n. 21/2010). La legge lombarda ha espropriato i Comuni della titolarità del servizio idrico, assegnandola alle Province, ed ha soppresso le Autorità dell’Ambito Territoriale Ottimale (AATO) sostituendole con un Ufficio d’Ambito Provinciale.
Il Coordinamento regionale lombardo dei Comitati per l’acqua pubblica, già all’inizio di quest’anno, aveva chiesto agli Amministratori dei comuni e delle Province della Lombardia di sospendere le procedure per la costituzione degli Uffici d’Ambito Provinciale e di non attivare i processi di riorganizzazione della gestione dei servizi idrici. Anche a livello lodigiano il Comitato per l’acqua pubblica si era pronunciato a favore di una moratoria nell’applicazione di una legge su cui lo stesso governo di centrodestra aveva chiesto un parere di legittimità alla Corte Costituzionale.
Come Comitato Lodigiano Acqua Pubblica, ora evoluto in Comitato “Acqua, beni comuni del Lodigiano”, chiediamo non soltanto di salvaguardare la titolarità dei Comuni nel governo dei servizi idrici, ma anche di avviare la partecipazione delle associazioni locali attive sul tema dell’acqua nel governo/gestione del servizio idrico.
Pur nei limiti dell’attuale contesto normativo, considerando che nel Lodigiano la gestione del servizio idrico integrato è affidata a una società totalmente pubblica (Società Acqua Lodigiana), va comunque riconosciuta la saggia lungimiranza degli Amministratori locali che, anche in anni di egemonia delle teorie neoliberiste, hanno saputo mettere in secondo piano le divergenze partitiche e fare scelte in coerenza con la storia del territorio, valorizzando un prezioso patrimonio di competenze e idealità.
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