Al mezzogiorno i poveri sono oltre 2 milioni

Quasi la metà dei cittadini italiani che si trovano in condizioni di povertà assoluta risiede nel Mezzogiorno: 2,3 milioni di persone - delle quali oltre un milione costituito da minori - sono poveri e una famiglia su quattro vive senza alcuna prospettiva e in condizioni di disagio economico gravissimo. È questo il dato più significativo del rapporto della Caritas Europa diffuso nei giorni scorsi, che pone il Sud italiano allo stesso livello dei Paesi che nel continente europeo si trovano nella crisi economica più grave, come Grecia e Spagna. Non intervenire rispetto a questa situazione, ha una sola conseguenza: il progressivo e inesorabile allargamento della voragine sociale che si è prodotta nel Sud negli ultimi decenni ed il suo definitivo allontanarsi dal resto del Paese e dall’Europa. Potrebbe essere una scelta quella di far morire – di miseria e di speranze – la metà del Paese, ma c’è un piccolo particolare da tenere sempre presente: le scelte vanno operate in maniera trasparente e limpida. In altri termini, non si può dare per scontato che non possano essere presi adeguati interventi a sostegno dell’economia, del mercato del lavoro, della solidarietà sociale e assistenziale. Si deve dire con chiarezza che in questo momento storico non è possibile affrontare il problema prioritario del 40,8% delle famiglie che nel Sud - contro il 15,4% del Nord-ovest, il 13,1% del Nord-est e il 17,3% del Centro, i dati sono contenuti nel rapporto “Noi Italia” dell’Istat, riferito al 2013 – soffrono di deprivazione sociale (non possono sostenere spese impreviste o non sono in grado di onorare i loro pagamenti o non possono riscaldare le loro case o non riesce a consumare un vero e proprio un pasto nell’arco di 4 ore, ad esempio). Non può essere considerato civile un Paese che mortifica in questo modo una parte così consistente della sua popolazione: il 50,2% dei siciliani, il 43% dei pugliesi, il 38,8% dei calabresi e dei campani. I dati, è bene ribadirlo, sono riferiti a due anni e tutti gli indici a disposizione fanno ritenere che in questo lasso di tempo non siano affatto regrediti, semmai si sono consolidati e ampliati.Così si coltivano sacche di emarginazione e di ribellione, che in molti territori del Sud – per dire le cose come stanno – viene sopita solo dalla presenza e dalla “garanzia” di sopravvivenza data dalle organizzazioni criminali, che com’è documentato dagli interventi della magistratura, espandono la loro influenza nel Centro-Nord, ma mantengono nel Sud legami molto solidi e la “rete” più consistente di contatti, relazioni e manovalanza.Accanto alla questione della povertà, grava sul Sud un’altra questione drammatica, che rimane non affrontata: quella dei Neet (Not in Education, Employment or Training), i giovani non più inseriti in un percorso scolastico-formativo, ma neppure impegnati in un’attività lavorativa. Se in Italia la quota dei Neet nel 2013 è stata pari al 26% della popolazione tra i 15 e i 29 anni, 2 milioni e mezzo di persone – un valore di gran lunga più elevato rispetto a Germania (8,7%), Francia (13,8%) e Regno Unito (14,7%) – nel Sud è stata del 35,4%, in confronto al 19,8% del Centro-Nord. Sicilia e Campania registrano le quote più elevate, con valori rispettivamente pari al 39,7% e 36,4%, seguite da Calabria e Puglia, con livelli pari al 35,6% e al 34,1%. Siamo di fronte ad una generazione di giovani immersa nella disperazione ed anche su questo tema vi è da registrare che i dati non sono attuali, ma si riferiscono a due anni fa. Chi dice di voler “riportare l’Italia a crescere”, di questo innanzitutto dovrebbe occuparsi, altrimenti fallirà – non sappiamo, in verità, se è ancora opportuno il tempo futuro - il Paese intero.

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