Gentile direttore, leggo e apprezzo Il Cittadino grazie a un collega di lavoro proveniente da Corte Palasio che lo porta quotidianamente in ufficio. Ho voluto scriverVi sollecitato dall’intervento di Francesco Cancellato dal titolo “Un’area vasta, da Pavia a Mantova…” apparso il 25 luglio in prima pagina. Al di là della querelle sul destino delle attuali Province, nella quale non intendo addentrarmi vista la quasi totale indeterminatezza della materia, confesso di aver provato invece un brivido nel leggere della possibile - io direi a questo punto probabile - progettualità di nuove, grandi infrastrutture che potranno in un prossimo futuro travolgere anche il sud della Lombardia, ivi compreso il Lodigiano. E non a caso utilizzo proprio il termine “travolgere” visto quanto è accaduto nella fascia pedemontana piemontese-lombardo-veneta come ricorda l’autore, ormai talmente satura di edifici e strade da non permettere ulteriori cementificazioni o asfaltature del suolo. Che meraviglia! Mi permetterei quindi di rivolgere un semplice invito a tutti coloro che avranno la potestà di decidere dei destini delle importantissime, seppur parzialmente sofferenti, attività agricolo-zootecniche e agrituristiche della Bassa padana: riflettete molto attentamente prima di qualunque deliberazione perché, una volta distrutto, il territorio agro-silvo-pastorale alle collettività locali non lo restituirà più nessuno.
In questi giorni sono stati diffusi ulteriori dati sullo spaventoso ritmo di consumo dissennato di suolo in Italia negli ultimi 50 anni, sui quali non mi soffermo per economia di spazio e anche per carità di Patria.
Voi Lodigiani, Pavesi, Cremonesi e Mantovani non svendetevi ciò che avete di più prezioso, perché rischiate di rendervi conto di quanto valga solo allorché non l’avrete più. Basta farsi un giro dalle parti dei comuni settentrionali della provincia per verificare già gli effetti della “febbre edificatoria” che le Giunte giustificano con la necessità di acquisire risorse finanziarie in tempi di vacche magre: ma se Galgagnano o Cervignano d’Adda diventeranno come un qualunque altro agglomerato urbano del Milanese, quale identità potranno mai vantare?
Si accenna infine nell’articolo a un “aggregato territoriale sostenibile” ma come si potrà mai conseguire tale obiettivo di indubbia, elegante formalità linguistica se verrà privato, svuotato del suo più prezioso elemento sostanziale? Forse sarebbe meglio che, finalmente, guardassero ai nostri bellissimi territori di pianura non più e non solo gli “importanti gestori autostradali” e compagnia, ma anche qualcuno che li abbia veramente a cuore senza per questo volerli annientare. E soprattutto speriamo che la rivolta culturale parta dalle popolazioni, non più paghe di svincoli, outlet e centri commerciali ma vogliose di valorizzare un territorio rurale per le risorse che offre.
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