Riprendiamo un argomento di scottante attualità: gli insulti cosiddetti “razzisti”, categoria che oggi comprende non soltanto il dileggio di chi ha la pelle di diverso colore ma anche di chi parla un dialetto differente: dai napoletani ai romani ai genovesi, su su fino ai nostri vicini lombardi. Fra questi ultimi, i nostri dirimpettai oltre Adda, con i quali però non dovremmo rischiare denunce chiamandoli “inetti, incapaci, pasticcioni”, perché il nostro detto “mesté cremasch”, ‘lavoro malfatto’, nasce in casa loro come “mestér cremasch” o “laùr ala cremasca”. La conferma, se ve ne fosse bisogno davanti al Giudice di Pace, ci viene da un altro detto cremasco d.o.c.: “I laurént da Crèma a mangià i süda, a laurà i trèma.”E con i vicini di casa “barasini”, comecome la mettiamo? Se anche nel loro dialetto troviamo il detto “I ‘Battuti’ i batusi: non è xenofobiasantangiulèn i en tüti ladri e asasèn” non si dovrebbero sentire offesi, pronti comunque a giustificarsi giurando che questa nomea nasce dell’aver ospitato nei secoli passati nei sotterranei del loro castello i detenuti in soprannumero di Lodi e Milano (ci dovranno però spiegare, non esistendo ancora l’UE, da dove arrivavano le sanzioni per il sovraffollamento delle carceri). “Tütün parent de l’istes” (‘esattamente lo stesso’) è il discorso per i lodigiani, accusati di avarizia mascherata dalla generosità a parole, come appare dal detto “Ludesan, larghi de buca e streti de man”. Attenti invece quando apostrofiamo qualcuno col termine batusu. Nel Lodigiano lo traduciamo con termini che vanno da ‘monellaccio, imbroglioncello’, fino a ‘poco di buono, scapestrato’ e ‘bandito, malfattore’. Per estensione anche ‘sporco, malmesso’. Con quest’ultimo significato lo troviamo anche nel Cremonese (batùus), mentre nel Pavese sta per ‘scansafatiche’, come nel Piacentino (dove però è inteso anche come ‘sfacciato’). È invece ‘goffo, inetto, tardo di mente’ nel Vercellese, e ‘lavativo, babbeo’ in Valsesia. Una singolare varietà di significati, tutti però con una forte connotazione negativa, che non aiuta a capirne l’origine. Lo sospettavamo derivato da batusso (o watusso), popolo di pastori dell’Africa centrale, famosi per la loro alta statura: si tratta di quello stesso popolo, detto anche dei tutsi (ba- è il prefisso del plurale), coinvolto nella sanguinosa guerra civile di una ventina di anni fa in Ruanda contro i conterranei hutu. Non si vede però una chiara relazione con i significati presenti nei nostri dialetti. La maggioranza degli studiosi propende infatti per un’origine ben più vicina ma più antica: i batusi sarebbero i “battuti”, cioè i membri della “Compagnia dei disciplini”, che per penitenza si battevano a sangue in pubblico per essere d’esempio al popolo. Di questa confraternita parla un manoscritto del XIV secolo il «Libro dei Battuti di San Defendente di Lodi», pubblicato a inizio Novecento dall’Archivio Storico Lodigiano. Da ‘sanguinante’ a ‘sporco’ il passo è breve, mentre gli altri significati nascono probabilmente dalla consuetudine di accomunare la sporcizia esteriore alla malvagità o all’inettitudine.Pur se non è affatto bello associare una confraternita di penitenti a una banda di scapestrati ottusi e per di più sporchi, rimane il fatto che batusu non è un insulto “razzista”, come si poteva pensare accomunandolo a zulù, asabes e baluba, termini di origine etnica già citati in precedenti puntate.
© RIPRODUZIONE RISERVATA