Business park, è da ripensare da zero?

“Con questo progetto la Lombardia potrà disporre di un polo d’eccellenza in un settore strategico per l’economia regionale. Sul modello dei grandi parchi tecnologici europei, il Lodigiano potrà offrire lavoro e nuove prospettive occupazionali ad aziende, laureati e ricercatori”. Parole e musica di Francesco Ferrari, allora Presidente della Camera di Commercio di Lodi, pronunciate il 25 Marzo 2002, durante un convegno sull’identità lodigiana nell’area metropolitana milanese. Ferrari parlava, ovviamente, del cluster delle biotecnologie. Troppo facile fare dell’ironia. Sull’identità e sull’autonomia del Lodigiano, finite sul binario morto di una provincia cancellata. Sull’area metropolitana milanese, chimera rimasta tale anche dodici anni dopo. Sui fiumi di retorica spesi per una visione di sviluppo che nulla ha prodotto, sinora, a fronte di investimenti di decine di milioni di Euro. Sulla promessa, infine, che entro la fine del 2003 sarebbe sorto un business park con l’obiettivo “di favorire e incentivare l’ insediamento di aziende biotecnologiche, di trasformazione delle materie prime e di imprese del settore agroalimentare, con particolare riferimento alle filiere del latte, della carne e dei cereali”. Sulla localizzazione del medesimo, che stando alle parole di Ferrari, avrebbe dovuto sorgere sui terreni attigui al Parco Tecnologico Padano e che invece è stato destinato a un’area di proprietà comunale a sette chilometri di distanza, sui terreni del Comune in località Villa Igea.Con queste premesse, sarebbe altrettanto facile fare dell’ironia sulle parole di Lorenzo Guerini e Simone Uggetti successive alla vittoria contro il ricorso di Legambiente sulla correttezza formale delle procedure di destinazione di quei 395.000 metri quadrati di suolo agricolo. Secondo Guerini, il ricorso di Legambiente, “ha bloccato un progetto di straordinaria importanza per la città ed il territorio, rinviando decisioni ed interventi che per essere efficaci devono essere quanto più possibile tempestivi”. Una ricostruzione dei fatti quantomeno parziale, visto che Legambiente ha presentato il ricorso nel 2009 e il business park, a voler essere tempestivi, doveva essere pronto nel 2003. Uggetti, allo stesso modo, rivendica il fatto che il parco industriale sia stato “uno degli obiettivi fondamentali del programma elettorale” a sostegno della sua candidatura a Sindaco. Progetto attuale, quindi, nonostante la crisi economica, i dodici anni buttati alle ortiche e l’attuale tendenza, enunciata persino dall’Ance, l’associazione confindustriale che rappresenta i costruttori edili, a non voler più perseguire strategie di espansione delle aree urbanizzate, laddove invece, dicono, è “necessaria una pianificazione territoriale che programmi l’uso del suolo coerentemente con le sue reali possibilità di trasformazione”. Tutto, insomma, fa dire che il business park – o bio & food park, o parco industriale, come lo chiamano ora – se mai sarà, rischia di essere un intervento fuori tempo massimo, anacronistico, volto a sprecare suolo, più che a investirlo nella costruzione del futuro sviluppo territoriale. Lo dico, peraltro, consapevole del fatto di aver più volte affermato, quando ne ho scritto, che l’insediamento di nuove imprese rappresenti comunque il fine ultimo del cluster delle biotecnologie, quello che giustificherebbe, in ultima analisi, i fiumi di denaro pubblico che sono stati e che saranno spesi nel sostegno all’attività del Parco Tecnologico Padano, così come nella costruzione e nell’insediamento del nuovo polo universitario di agraria e veterinaria. In altre parole, senza un ritorno in termini di sviluppo e occupazione – su questo concordo pienamente con Guerini e Uggetti – tutto ciò che è stato fatto sinora è privo di senso. Tuttavia – e su questo concordo con Legambiente – non credo che l’unica strada possibile per raggiungere questo obiettivo sia quella di cambiare destinazione d’uso e rendere edificabile – processo irreversibile, questo: mai dimenticarlo - un’area agricola fertile e produttiva di 395.000 metri quadrati (più grande del centro di Lodi e di qualunque parco industriale del nord Italia). Non nel 2014, perlomeno, in un territorio punteggiato di aree dismesse. Non su un’area che, distando ben 7 km dal resto del cluster, è priva del requisito fondamentale di ogni business park che si rispetti, quello della prossimità. Non su un pezzo di suolo agricolo che, in quanto pubblico, è privo di diritti acquisiti e proprio in quanto tale andrebbe preservato.Fatte queste premesse, il muro contro muro che si profila tra Legambiente e il Comune di Lodi è una pessima notizia. Pessima, perché preludio a una battaglia orgogliosamente ideologica nella quale i due contendenti si limitano a rivendicare le loro ragioni, laddove invece dovrebbero entrambi metterle, almeno in parte, in discussione. Quel che servirebbe, invece, è la presa d’atto – vuoi per il ricorso di Legambiente, vuoi per la pachidermica lentezza dei soggetti promotori – che il progetto del business park è oggi da ripensare da zero. Le pregresse manifestazioni d’interesse d’imprese propense a insediarsi nelle aree di Villa Igea – ammesso che vi fossero, visto che il Comune non ha mai reso pubblici i nomi di tali realtà – valgono per l’ante crisi, non certo nella congiuntura attuale. Allo stesso modo, qualora vi fossero realtà desiderose di insediarsi nei pressi del PTP, non avrebbe senso respingerle all’uscio. Non ho in tasca le soluzioni, ma sono sicuro che una discussione trasparente e pubblica potrebbe farle emergere: è un eresia pensare di usare le aree dismesse maggiormente attigue al PTP o anche cattedrali nel deserto come la Fiera di Lodi o i capannoni abbandonati dell’area PIP di San Grato - del quale il PGT, tanto per non farci mancare nulla, prevede un’espansione di altri 800.000 metri quadrati su terreni agricoli - quali luoghi deputati all’insediamento di tali realtà? È un’eresia pensare di ridurre la superficie del business park, preservando almeno in parte, il suolo agricolo in coerenza con le reali e attuali possibilità di trasformazione e insediamento? È un’eresia un protocollo che disponga la riconversione delle aree di Villa Igea a terreno agricolo qualora in un ragionevole lasso di tempo non vi siano state manifestazione d’interesse all’insediamento sulle medesime? È un’eresia porsi il dubbio che ciò che ci sembrava giusto e lungimirante nel 2002 possa rivelarsi sbagliato e miope nel 2014?

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