Il sistema universitario americano è al centro di quella che sembra essere diventata una tempesta mediatica perfetta. Nei prossimi giorni uscirà in alcune sale selezionate a New York, Washington, Los Angeles e Berkeley un documentario che sta facendo discutere l’upper class americana e che ha spaventato molte famiglie. Si tratta di “The Hunting Ground” (letteralmente “terreno di caccia”), è stato diretto da Kirby Dick e Amy Ziering ed è dedicato ad un fenomeno inquietante: la crescita degli episodi di violenza sessuale nei campus universitari. Secondo gli osservatori specializzati, il numero di denunce è aumentato in modo impressionante.L’Ufficio del Dipartimento Educazione per i Diritti Civili ha reso pubblico il primo elenco di college e università sotto esame per possibili violazioni della legge federale contro i reati sessuali. Si è passati dalle 2.600 denunce nel 2009 alle 3.900 nel 2012: un aumento vertiginoso di circa il 50% in soli tre anni. Il fenomeno rappresenta uno shock per un sistema complesso come quello delle Università Usa. Il reclutamento degli studenti da parte dei campus si basa su criteri imponderabili come il prestigio e l’affidabilità. Anche se non ci sono ancora istruttorie che si siano concluse con accuse che implichino una responsabilità diretta da parte delle autorità universitarie, il sentimento comune che circola ormai da tempo è che l’atteggiamento di certi vertici amministrativi e didattici sia più omertoso che collaborativo. Si tratta di una opinione che diventa ogni giorno che passa più radicata e che il documentario “The Hunting Ground” non farà che rafforzare. Secondo i portavoce di molte istituzioni universitarie, gli autori del documentario non hanno atteso o non hanno rispettato le risposte che erano state inviate loro. Un film a tesi, dicono. Resta la preoccupazione. Nel mondo dello sport semiprofessionistico (basket e football, soprattutto) che negli Usa smuove interessi miliardari, le star più acclamate vengono proprio dalle università incriminate. Un danno di immagine i cui effetti sono incalcolabili. Un giornalista del “Washington Post”, in coda ad un lungo e dettagliato articolo sul fenomeno, ha confessato: “Ho una figlia di 18 anni e sto scegliendo l’università per lei. Accanto ad alcuni nomi della lista ho cominciato a mettere l’annotazione ‘rape (violenza sessuale) campus’”. I nodi più irrisolti delle numerose denunce che arrivano all’Ufficio del Dipartimento Educazione per i Diritti Civili sono tutti nel modo di vivere delle nuove generazioni Usa. L’eccesso di alcol è la norma per i diciottenni delle università americane. Le feste delle “fraternità” si tramutano con costante tragicità in orge ad altissimo tasso alcolico. Il fenomeno va avanti da troppo tempo e le autorità scolastiche, se non complici, sembrano comunque assenti o distratte. C’è poi l’idea che la violenza sessuale non sia un delitto contro la persona ma un reato legato alla discriminazione di genere. Una fattispecie giuridica che non fa altro che rendere più complicato il dibattito. Il documentario “The Hunting Ground” è stato presentato alla Casa Bianca la scorsa settimana. C’erano membri del Congresso e dello staff presidenziale. Obama però non c’era. Il tema è spinoso. Nonostante le dichiarazioni pubbliche, è sembrato che il Presidente abbia voluto in qualche modo prendere le distanze da un documentario che è destinato a suscitare più interrogativi che certezze. Non c’era però neanche la moglie, Michelle. Un’assenza strana almeno per due motivi. La discriminazione di genere, infatti, è un tema che dovrebbe stare a cuore alla First Lady. Il vero stupore però nasce dal fatto che la signora Obama non ha trovato il tempo per il documentario. Davanti alle telecamere e agli sbigottiti spettatori Usa ha improvvisato un balletto demenziale, come se fosse una soubrette qualsiasi e non la moglie dell’uomo più potente del mondo. Il balletto sì, ma neanche una parola sulle studentesse violentate.
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