Carceri, la notte è ancora lunga

Quanti giorni al 28 maggio 2014? Non molti: un mese, poco meno. La scadenza è stabilita dalla Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo, a seguito della sentenza Torreggiani e altri contro Italia dell’8 gennaio 2013, quando il nostro paese fu condannato (per la seconda volta) a risarcire uomini detenuti sottoposti a trattamento inumano e degradante a causa del sovraffollamento carcerario. Entro il 28 maggio l’Italia deve adeguarsi agli standard europei anche in materia di detenzione, di tutela della dignità delle persone internate, bene non negoziabile. Ce la farà? Improbabile, forse impossibile. I mesi di marzo e aprile sono stati attraversati da segnali contraddittori in materia di norme e provvedimenti relativi al sistema carceri, ma in ultima analisi il bilancio è negativo: non esistono infatti prospettive realistiche che la situazione di violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo - Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti - «possa modificarsi in alcun modo e sicuramente non entro il termine del 28 maggio» (così i Radicali Italiani in una lettera dell’11 aprile indirizzata ai vertici del Consiglio d’Europa). È evidente, infatti, che il provvedimento di clemenza più volte auspicato da Giorgio Napolitano non vi sarà, per carenza di volontà politica: il messaggio accorato che sulla questione carceraria il Presidente della Repubblica ha rivolto alle Camere l’8 ottobre, è stato discusso a Montecitorio il 4 marzo, senza giungere a nulla di fatto, se non la bocciatura di risoluzioni favorevoli ad amnistia e indulto. Se dunque non vi sarà una nuova proroga “all’italiana” da parte dell’Unione Europea, il 28 maggio il nostro paese andrà incontro a un’ulteriore perdita di credibilità (e a una nuova sanzione, la terza). “All’italiana”: ovvero con leggerezza e superficialità, con colpevole furbizia, di rinvio in rinvio, con il dubbio che il termine improrogabile ancora una volta non sarà rispettato. Così è per gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg, sei sul territorio nazionale): la legge 9/2012 ne decretava la chiusura entro il 31 marzo 2013, scadenza poi prorogata di un anno e ora portata al 31 marzo 2015, con decreto firmato «con estremo rammarico» da Giorgio Napolitano, che definì i manicomi criminali (mutati nel nome, non nella struttura) «inconcepibili in qualsiasi paese appena civile». Poteva andare peggio: si era ipotizzato un rinvio al 1° aprile 2017, a causa del ritardo nell’erogazione dei fondi previsti (173 milioni di euro) alle Regioni, cui è demandato il compito di potenziare i dipartimenti di salute mentale, per gli internati con patologie meno gravi, e di istituire le Residenze per l’Esecuzione di Misure di Sicurezza (Rems, più piccole e funzionali) per gli internati socialmente pericolosi. Un migliaio di vite dimenticate in questa terra di mezzo tra prigione e manicomio, luogo di sofferenza senza possibilità di una presa in carico efficace, dunque di riscatto. Alcune decine sono invece le piccole vite che nei penitenziari si accompagnano a quelle delle madri recluse, ancora una volta a seguito di una legge disattesa (62/2011), che prevede lo stanziamento di 11,7 milioni di euro per la creazione di istituti a custodia attenuata per le detenute gravide o con bimbi fino a tre anni. 13 di questi si trovano nella sezione femminile della Casa circondariale di Rebibbia, che accoglie 385 detenute, pur potendone contenere soltanto 240. Un segnale positivo è il via libera definitivo da parte della Camera, il 2 aprile, al disegno di legge “Deleghe al governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili”. La norma prevede ora il ricorso sistematico alla detenzione domiciliare per i reati la cui pena massima sia pari a tre anni, con eventuale obbligo di prestare attività non retribuita socialmente utile; la depenalizzazione dei reati “bagatellari”, di lieve entità, che saranno puniti con sanzioni di tipo amministrativo; l’istituto della messa alla prova (già sperimentato nella giustizia minorile), che consiste nell’effettuare lavori di pubblica utilità e agire condotte riparatorie, nonché nell’affidamento ai servizi sociali per l’attuazione di un programma di recupero. Sono poi cancellati la contumacia (la celebrazione del processo in assenza dell’imputato) e – finalmente - il reato di immigrazione clandestina, che andava a colpire una condizione, non un comportamento, per quanto sia ancora penalmente rilevante il reingresso nel nostro paese in violazione di un precedente provvedimento di espulsione. L’insieme di disposti, tuttavia, non avrà effetto immediato, poiché alla sua attuazione dovrà provvedere il governo mediante appositi decreti legislativi. Sarà anche necessario affiancarlo alla modifica della disciplina della custodia cautelare: i ristretti in attesa di condanna definitiva sono infatti il 40% circa del totale. Il numero di procedimenti giudiziari e di persone detenute senza dubbio diminuirà, ma in tempi medi, non certo entro il 28 maggio. Così come – a seguito della dichiarazione di incostituzionalità della cosiddetta legge Fini – Giovanardi – dovrebbero diminuire i reclusi per il possesso di droghe leggere (nell’ordine di 17mila: 12mila già condannati, 5mila in attesa di sentenza definitiva). Ma quando? Nei 205 istituti penitenziari italiani vi sono 60.167 detenuti, a fronte di una capienza effettiva di 43.547 posti (fonte: DAP al 31.03.2014; gli interventi di manutenzione ordinaria e di ristrutturazione edilizia rendono indisponibili alcune migliaia di posti regolamentari). Improbabile, forse impossibile, far scomparire 16.620 persone ristrette in un mese, poco meno. E intanto, dopo la visita a Rebibbia e a Poggioreale di tre membri della Commissione libertà civili, giustizia e affari interni del Parlamento Europeo, il 26 e 28 marzo scorso, l’Italia riconferma il triste primato delle carceri più degradate del continente: «La situazione penitenziaria in Italia è un problema che non è mai stato considerato come priorità politica e finanziaria e sembra non esserci alcun cambiamento. - afferma il deputato socialista Aguilar, alla guida della delegazione - Che il nuovo governo faccia un passo avanti affinché la situazione sia all’altezza della civiltà giuridica e del prestigio del Paese che è tra i fondatori dell’Europa». I detenuti – fa eco Rita Bernardini, segretaria dei Radicali Italiani - «non li ascolta nessuno, a partire dai magistrati», che sempre li riconducono alla categoria del reato commesso, senza considerazione per il percorso individuale di ciascuno. Il punto vista dei detenuti, invece, merita di essere ascoltato, perché solo testimone di una sofferenza indicibile e inutile, che nulla ha a che vedere con la pena e con la rieducazione del condannato: «E di notte non sentirò io il canto chiaro dell’usignolo, il suono sordo dei querceti; - scrive Puskin, poeta e perseguitato, nel 1833 - ma l’urlo dei compagni miei, le ingiurie dei guardiani notturni, strida e tintinnio di ceppi».

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