Carestia, situazione disperata

In Kenya i due-terzi della popolazione sono stati colpiti dalla siccità e dalla carestia, soprattutto nelle zone rurali del nord e sud-est del Paese. Oltre 3,6 milioni di persone hanno bisogno di assistenza alimentare, cifre che continuano drammaticamente a peggiorare da una settimana all’altra (erano due milioni e mezzo tre settimane fa). Si corre il rischio di epidemie – già si sono verificati casi di colera – e in alcune zone ci sono tensioni e scontri armati. Tra le frange più vulnerabili vi sono i bambini e le donne in gravidanza, perché i settori più scoperti sono l’ambito sanitario e nutrizionale, che hanno percepito solo il 5% dei fondi donati dai governi per l’emergenza nel Corno d’Africa, che coinvolge 12,4 milioni di persone in otto Paesi (Somalia, Etiopia, Kenya, Gibuti, Eritrea, Sud Sudan, Uganda e Tanzania). La rete Caritas che opera in Kenya, sotto la guida di Caritas Kenya, lancerà nei prossimi giorni un appello di raccolta fondi pari a 3 milioni e 856 mila euro che saranno impegnati in 14 diocesi (5 nelle regioni settentrionali e 9 nella zona sud-orientale) per aiutare 180.000 persone. È quanto emerso dal “country forum” della rete Caritas in Kenya in corso in questi giorni a Nairobi, al quale partecipa anche Caritas italiana, fortemente impegnata nell’emergenza. Abbiamo raggiunto telefonicamente Anna Maria Graziano, operatrice di Caritas italiana in missione a Nairobi. “Le Caritas che operano in Kenya stanno già lavorando sull’emergenza siccità e carestia da novembre scorso – racconta Graziano -. Già l’anno scorso, infatti, non ci sono state piogge, e quest’anno, tra aprile e giugno, la situazione è precipitata. Il governo del Kenya ha dichiarato a maggio lo stato di emergenza nazionale, e le varie Caritas occidentali hanno iniziato raccolte fondi nei rispettivi Paesi. Si interviene cercando di rafforzare le capacità di sopravvivenza dei nuclei familiari, che non riescono a fare fronte da sole alla scarsità di raccolti e di cibo”. Al nord, per esempio, le popolazioni vivono di pastorizia, ma a causa dell’assenza di pascolo si sono verificati altissimi tassi di mortalità del bestiame. La siccità ha provocato, inoltre, una riduzione delle risorse idriche tra il 30 e il 60%. Al sud, invece, l’aumento dei prezzi del cibo e dei carburanti ha aumentato i bisogni di assistenza alimentare della popolazione. “Il sistema delle Nazioni Unite ha fatto donazioni importanti – osserva Graziano -, ma gli operatori in loco denunciano carenze enormi su salute e malnutrizione, soprattutto per bambini e donne incinte. È su queste frange più vulnerabili che la rete Caritas ha intenzione di concentrare la sua azione”.Dall’incontro di Nairobi è emerso anche un grave problema nel coordinamento degli aiuti, visto che gli attori presenti sono molti, tra organismi delle Nazioni Unite, governi e organizzazioni non governative. “In alcune diocesi sono state registrate lamentele da parte della gente nella distribuzione degli aiuti – dice Graziano -. C’è gente che non riceve nulla, o gente che riceve doppie razioni. In più c’è un problema sicurezza in alcune zone del Paese dove la precarietà è più estrema, con gruppi locali armati che stanno provocando tensioni”. Nei campi profughi gestiti dalle Nazioni Unite nel nord del Paese, tra cui il più affollato di Dadaab, si stima che l’afflusso di somali sia al ritmo di 1300 nuovi ingressi al giorno, ma che il sistema di aiuti “non potrà reggere per più di sei mesi”. “La situazione in Kenya non è come quella della Somalia, che è in assoluto la più drammatica - conclude l’operatrice Caritas -. Però sta peggiorando anche qui”.Nel frattempo in Italia, dopo gli appelli del Papa, la Cei ha lanciato il 29 luglio una colletta nazionale per le popolazioni del Corno d’Africa colpite dalla carestia, con una raccolta straordinaria in tutte le chiese che si svolgerà domenica 18 settembre. Dopo lo stanziamento di 1 milione di euro da parte della Cei, di 300.000 euro dalla Caritas italiana (insieme alla raccolta fondi, vedi www.caritasitaliana.it), ieri è stato rinnovato un appello ai governi e agli organismi internazionali affinché “rispondano con urgenza e in modo adeguato a questa emergenza e per il futuro avviino subito politiche volte alla prevenzione di queste tragedie, a partire dalla presa in considerazione della questione somala, senza ripetere i drammatici errori del passato”. Monsignor Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e presidente di Caritas Somalia, parla di “situazione disperata” e chiede che “la doverosa e urgente solidarietà sia accompagnata dall’impegno per risolvere a monte le cause strutturali della crisi in Somalia, abbandonata da due decenni in una situazione di anarchia e conflitto”.Fondi ancora insufficienti. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon aveva chiesto, il 25 luglio scorso, 1,6 miliardi di dollari entro la fine dell’anno “per salvare la vita di quanti sono a rischio – in gran parte donne e bambini”.Finora i donatori internazionali hanno stanziato solo la metà di quanto necessario. La richiesta è inferiore alla metà dei fondi che nel 2010 erano stati resi disponibili da governi e privati cittadini per rispondere al terremoto di Haiti e pari a meno dello 0,1% delle spese militari mondiali nel 2010.

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