A Lampedusa, ormai è noto, il centro ospita più del doppio della capienza possibile. Chi è appena sbarcato, dopo dolorosi viaggi e traversate rischiose, è costretto a dormire su materassi sporchi, in condizioni igienico-sanitarie pessime. A Mineo, in provincia di Catania, i profughi accolti sono già oltre 4mila, mentre i posti disponibili sono 2mila. Anche tutte le altre strutture istituzionali in Sicilia sono da tempo al collasso, con 37mila profughi da Siria e Corno d’Africa arrivati dall’inizio dell’anno (di cui 14 mila a Lampedusa), mentre i salvataggi in mare continuano al ritmo di 200 persone a notte. Il governo prevede che gli sbarchi, provenienti soprattutto dalla Libia, continueranno durante tutto l’inverno. Sembra che non ci sia più posto per accoglierli tutti. Invece i posti, volendo, ci sarebbero: i centri delle Caritas diocesane, delle associazioni, i conventi vuoti, sparsi su tutto il territorio italiano, per non congestionare la sola Sicilia. Allora perché, “nonostante la nostra disponibilità, non ci arrivano risposte dal Ministero dell’interno?”: se lo chiede il responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas italiana Oliviero Forti, parlando al Sir a margine dell’incontro periodico del Coordinamento nazionale immigrazione, che ha riunito a Roma i responsabili delle Caritas diocesane di tutta Italia. E non solo le Caritas si sono messe a disposizione: “Ci chiamano tantissimi religiosi - racconta -, disposti ad accogliere i profughi nei conventi vuoti, in risposta all’appello del Papa. Ma finora non abbiamo ricevuto nessun feed-back a livello centrale, e non capiamo il perché. Ci basta solo un chiaro segnale di coinvolgimento da parte del Ministero, e noi ci attiviamo”.Le associazioni sono abbastanza soddisfatte del recente decreto che ha aumentato i posti dello Sprar, il Servizio di accoglienza per richiedenti asilo, da 3mila a 16mila. Il periodo di permanenza dei profughi in queste strutture dovrebbe essere di sei mesi. Così grazie alla turnazione i posti dovrebbero diventare 32mila. Il problema è che le Commissioni territoriali per l’esame delle richieste di asilo sono poche e i tempi di permanenza si allungano a circa un anno. 9mila persone sono già in accoglienza. Ogni anno arrivano, in media, 35-40mila persone. Quindi, a conti fatti, i posti messi a disposizione dalle istituzioni sono sempre pochissimi. “Siamo alle solite - commenta Forti -, c’è sempre il rischio di non riuscire a coprire le necessità”. La colpa? “Forse un pressapochismo che caratterizza la politica italiana? Forse una scorretta informazione sul fenomeno migratorio, che confonde il problema degli sbarchi con la questione del reato di clandestinità?”“Si parla di usare per l’accoglienza i Palasport di Messina e Catania. Perché sempre delle strutture così grandi e perché solo in Sicilia?”, continua a chiedersi Forti. Tante domande senza risposta, che mettono in evidenza come l’Italia, tramite l’associazionismo e i religiosi, sarebbe invece in grado di dare un contributo prezioso all’accoglienza, per renderla rispettosa degli standard minimi di dignità umana. Perché, a suo parere, questo è ciò che più ci contesta l’Unione europea: “Non riuscire ad accogliere dignitosamente le persone perché non utilizziamo tutte le risorse disponibili”. Che ci sarebbero, come dimostrano le tante offerte di aiuto, spesso inascoltate. Quest’anno, rispetto agli ultimi sbarchi, le Caritas diocesane stanno ospitando solo 33 minori non accompagnati del naufragio del 3 ottobre a Caltagirone; un centinaio di profughi del mercantile sbarcato a Palermo a Piana degli Albanesi; circa 150 nel centro della Caritas ambrosiana a Milano, togliendo dalla strada quelli che bivaccano alla stazione perché volevano andare in Nord Europa ma sono stati respinti alla frontiera austriaca.Intanto, anche sulla punta estrema dello stivale, a Reggio Calabria e dintorni, negli ultimi due mesi ci sono stati 6 sbarchi, circa un migliaio di persone: 1.500 nella sola Roccella Ionica da maggio ad oggi, 300 a Gioia Tauro. Qui il direttore della Migrantes diocesana è ora padre Bruno Mioli, che ad 80 anni, dopo anni di indefesso lavoro come responsabile dell’ufficio nazionale immigrazione e profughi della Fondazione Migrantes, continua a portare avanti con grande tenacia e determinazione la sua missione: “Insieme ad altre sette associazioni, tra cui scout, S.Egidio, ecc. – racconta, mostrando con orgoglio i fogli -, abbiamo proposto alle autorità cittadine e provinciali un protocollo di intesa. Vogliamo metterci a disposizione, per non essere colti di sorpresa e poter accogliere dignitosamente queste persone”. La prefettura ha già allertato i sindaci dei dodici paesi più coinvolti chiedendo di procurare delle strutture, con buoni risultati: “A Roccella Ionica, 4 ore dopo lo sbarco, i profughi erano già sistemati”. Quello che succede, però, è che dopo tre giorni non c’è più nessuno. “Quando arriva la polizia per prelevare le impronte se ne vanno. Nessuno vuole fare domanda d’asilo in Italia. Vogliono tutti andare Oltralpe”.
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