In modo ricorrente un sentimento di nostalgia e di affetto mi spinge a parlare di un patrimonio assai dimenticato e in buona parte ormai andato perso: le cascine. Il lavoro encomiabile ed affascinante di Eugenio Lombardo, da tempo portato avanti ogni settimana sulle pagine del Cittadino, ha la capacità di lenire in parte il senso di desolazione e di tristezza che inevitabilmente mi prende quando il pensiero corre a questa ricchezza territoriale sempre più evanescente.Nel suo servizio sono state, e sono prese, in considerazione quelle cascine che, in numero apparentemente ancora congruo, sembrano essersi salvate dalla incuria, dal degrado, dalla morte, dalla memoria corta dell’uomo. La sua penna scorrevole, accattivante, precisa, ma anche molto umana e sensibile, ci permette di gioire ancora degli ultimi riflessi di un tempo, legato alla nostra terra, laborioso, ma struggente, profondo ed insostituibile nella serenità dei gesti, nel rispetto dei ritmi e delle conoscenze ataviche; faticoso, ma oltremodo ricco nei risvolti sociali e umani di cui le cascine sono scrigno.Accanto alle cascine conservate o recuperate, ancora vissute, esiste una moltitudine di vestigia scomparse per sempre o destinate a svanire nel giro di pochi decenni. Non so se mai sia stato fatto uno studio adeguato di tutte gli insediamenti rurali di questo tipo che, disseminati ovunque sul territorio fino agli anni ’50, ancora erano il simbolo di una terra agricola fiorente. Chissà se mai le cascine sono state “censite”, catalogate, come succede per le opere d’arte o gli innumerevoli siti di valore destinati a diventare patrimonio di un’intera comunità, locale, nazionale, globale. Chissà se per molte cascine e le relative case padronali, alcune delle quali maestose e splendide, esiste il vincolo delle Belle Arti e della Soprintendenza, capace di contenere, limitare o impedire interventi insensati, quanto deleteri, e proteggere un patrimonio culturale, artistico, etico di immenso valore.Le cascine sono opera dell’uomo, ma furono concepite per e nel rispetto del Creato. In effetti esse si integrano nel territorio, in questa pianura un tempo estremamente verde e lussureggiante, in modo armonioso, in perfetto equilibrio. Sorte perché la terra e la natura fossero in parte al servizio dell’uomo, le cascine hanno vissuto in simbiosi con l’ambiente e chi lo gestiva, in un rapporto di mutua gratificazione e reciproco amore. Senza queste strutture la nostra terra sarebbe stata un ambiente incolto, selvaggio, inospitale.Per secoli esse hanno preservato strumenti, tecniche, gesti voluti e fatti per l’agricoltura, che da tempo immemore è stata ricchezza e patrimonio di questa fetta del creato chiamata Pianura padana. Una terra fertile, generosa e rigogliosa su cui si è innestata la vita di un intero popolo, di una comunità tenace e attiva, laboriosa e intelligente. Una terra che poi, con l’uso non sempre adeguato e assennato del progresso e della tecnologia, si è fatta sempre più grigia di cemento, intristita in una veste di giorno in giorno meno smagliante nei suoi colori.A differenza di innumerevoli resti del passato, che hanno resistito all’incedere del tempo, alla falce della morte e ora vivono, perché protette, una seconda giovinezza, le cascine hanno avuto una vita relativamente breve e, senza un’inversione di rotta, sono destinate tutte alla fine. Cadranno una dopo l’altra, piano piano, senza far rumore. Mattone dopo mattone si sgretoleranno fino a ritornare di nuovo polvere di argilla, quella stessa che mani laboriose avevano composta con amorevole cura perché si facesse pietra di dimore povere eppur preziose.Se ne andrà, sepolto per sempre, il riverbero rosato e dolce delle loro mura in cotto quando accarezzate dal sole. Cesseranno di essere piacevoli e rassicuranti fantasmi avvolti in teli di nebbia nei nostri autunni e inverni struggenti. In silenzio, nel silenzio profondo della campagna, anch’essa dimenticata e negletta, lasceranno la scena di un mondo che ormai non si addice più alla loro indole e alla loro fisionomia.
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