Negli ultimi quindici anni, l’evoluzione dei media ha profondamente modificato la struttura dei gruppi terroristici internazionali e la loro strategia. Ne è convinto Jason Burke, editorialista di “The Guardian” e autore di “The New Threat”, un libro sulla minaccia del terrorismo del terzo millennio. Dalla strategia “spettacolare” di Bin Laden messa in atto con l’attentato alle torri gemelle di New York l’11 settembre del 2001, alle stragi di Parigi di novembre 2015, la propaganda e la politica stessa del terrore si sono trasformate in modo inquietante. All’alba della rivoluzione digitale, i terroristi di al-Qaeda erano frustrati dalla scarsa attenzione che i media concedevano ai proclami altisonanti della jihad. Bin Laden era arrivato ad assumere un vero e proprio addetto stampa che aveva il proprio ufficio a Londra. Girava per le montagne dell’Afghanistan con un mini-van attrezzato con una tecnologia media (ricevitori satellitari, antenne, monitor) da far invidia a un broadcaster. Sforzi inutili, spiega Jason Burke. Lo stile prolisso dei comunicati di al-Qaeda cozzavano con il ritmo frenetico della informazione globalizzata. Non solo. Le attrezzature di ripresa e di registrazione video, quindici anni fa, erano ancora molto pesanti.
I terroristi giravano i propri filmatini autopromozionali con telecamere non piccolissime; poi ne dovevano fare molte copie con le ingombranti videocassette in Vhs; infine dovevano trovare un mezzo sicuro per far “viaggiare” questo materiale così vistoso e farlo giungere nelle redazioni media delle news di tutto il mondo. Una procedura complessa e fuori del tempo. I messaggi di al-Qaeda potevano metterci giorni o settimane prima di giungere a destinazione.
Da questa frustrazione mediatica, nacque la strategia dello spettacolo. L’attentato di New York si colloca all’apice di questa strategia. Colpire in modo talmente spettacolare da fare in modo che i telegiornali non possano ignorare né le immagini né il messaggio di sangue della jihad. Si trattava però di una strategia molto costosa.
L’immagine stereotipata di Bin Laden nascosto in una caverna sulle montagne dell’Afghanistan non corrisponde al vero, dice Burke.
Bin Laden aveva bisogno di vivere in campi attrezzati per la formazione di centinaia di terroristi. Le azioni spettacolari avevano bisogno di un’organizzazione molto complessa e di uomini perfettamente attrezzati. Il rapido sviluppo della tecnologia digitale e la nascita delle piattaforme social come Youtube, Facebook o Twitter, hanno risolto una parte dei problemi.
Le telecamerine indossabili, note come “Gopro”, usate dagli appassionati di sport estremi per riprendere in “soggettiva” le proprie acrobazie (ne aveva una nel casco anche Schumacher quando cadde rovinosamente sugli sci) hanno risolto il problema del “peso” delle attrezzature.
I terroristi, per alcuni anni, non si sono fatti scrupolo di dotarsi di una attrezzatura del genere per riprendere, nei dettagli, i momenti più drammatici e sanguinosi degli attentati. Il web e i social hanno anche risolto il problema della diffusione dei messaggi. I video più pulp sono stati visti da milioni di spettatori attoniti nonostante l’autocensura della maggior parte dei media mainstream. La rivoluzione digitale ha quindi cambiato intimamente la struttura stessa delle organizzazione terroristiche.
Differentemente da Bin Laden, i nuovi terroristi del cosiddetto Stato islamico non hanno più bisogno di istruire nessuno. Con i social sono arrivati a incitare alla rivolta i musulmani di tutto il mondo. Alcuni attentati recenti sono stati realizzati da fanatici che non erano legati strutturalmente alle organizzazioni terroristiche.
Uno scenario allucinante reso possibile dall’assenza di scrupoli delle organizzazioni terroristiche nell’utilizzo spregiudicato delle nuove libertà di comunicazione delle tecnologie digitali e del web. A Parigi, però, si è dovuta registrare una ulteriore novità. I terroristi del Bataclan o dei bistrò non avevano mezzi di ripresa o telecamerine Gopro.
Sapevano perfettamente, infatti, che le loro azioni sarebbero state riprese dai passanti con gli smartphone e che quelle immagini avrebbero fatto il giro del mondo senza che loro fossero costretti ad occuparsene.
Si tratta della nuova soglia del terrore.
Dopo i minivan media di Bin Laden o i video autoprodotti dall’Isis, adesso il mezzo di comunicazione del terrorismo internazionale siamo diventati noi stessi. Complici del terrore senza volerlo.
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