Come essere figli della casa dei doveri

Egregio direttore, prima di affrontare il tema dello ius soli, che nell’ultimo periodo sta animando il dibattito nazionale, è opportuno fare una premessa di ordine generale. Negli ultimi 20 anni l’Italia non è solamente diventata un Paese di immigrazione, bensì un Paese con un’immigrazione stabile e strutturale. Infatti, molte famiglie di immigrati hanno voluto e vogliono costruire il loro futuro nel Bel Paese.Se è senza dubbio necessario garantire una gestione ordinata dei flussi di ingresso, tale da evitare l’ingenerarsi di paure e disagi nella popolazione residente, è allo stesso tempo necessario impegnarsi nel supportare chi ha deciso di stabilirsi nel nostro Paese per raggiungere la piena integrazione civile, che si compie anche con l’acquisizione della cittadinanza e dei correlati diritti-doveri.Su questo tema il divario fra l’Italia ed altri Paesi europei è notevole e lampante: secondo il Ministero dell’Interno nel 2010, 40.084 stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana; nello stesso periodo in Francia sono stati 154.827. Questo divario si deve alla legge di riferimento che disciplina la concessione della cittadinanza italiana (L. 91 del 1992), la quale non prevede un coinvolgimento attivo del “pretendente”, ma ne valuta passivamente la rispondenza a certi requisiti quantitativi, in primis gli anni di permanenza. Il percorso che la legge prevede è lungo, ben 10 anni di residenza (a cui se ne aggiungono mediamente altri 5 che occorrono per la definizione del procedimento amministrativo al Viminale): una durata eccessiva, che scoraggia il cittadino straniero a intraprenderlo. È quindi urgente rivedere globalmente la predetta legge. Da un canto è necessario che il minore nato in Italia da genitori non italiani abbia gli stessi diritti dei coetanei con i quali affronta il percorso di crescita, evitando così che sviluppi un senso di esclusione dal proprio contesto, pericoloso per il futuro processo di inserimento sociale. Questo si ottiene passando dal principio dello ius sanguinis, sul quale è basata la normativa vigente, al principio dello ius soli, temperato e condizionato dalla stabilità del nucleo familiare e dalla partecipazione del minore al ciclo formativo.Dall’altro canto è importante passare, nell’iter per la concessione della cittadinanza agli immigrati adulti, da un’ottica meramente passiva ad una attiva. La cittadinanza deve diventare il traguardo di un articolato ed effettivo percorso di integrazione, che da un lato mobiliti e coinvolga il richiedente, e dall’altro gli prospetti l’acquisizione dei diritti in tempi ragionevoli: per esempio attraverso la riduzione da 10 a 6 del numero di anni, dei quali deve comunque essere valutata la qualità della presenza nel nostro Paese dello straniero (residenza effettiva, fedina penale priva di condanne e regolare impiego lavorativo). Una legge di questo tipo riuscirebbe a coniugare l’esigenza che gli immigrati rispettino le regole con quella di cancellare le discriminazioni: il nuovo cittadino ha la possibilità di mostrare le proprie qualità, viene responsabilizzato ed è pertanto incentivato ad emergere proprio perché portato a pensare che i propri sforzi non saranno vani. La direzione deve essere quella di potenziare percorsi inclusivi invece che perseguire politiche e legislazioni puramente repressive e fallimentari in concreto, come la Legge Bossi-Fini o i decantati «pacchetti sicurezza» del 2008 e 2009. Un esempio in tal senso era l’aggravante di clandestinità immediatamente “fulminata” dalla Corte Costituzionale.Si tratta, in fondo, di essere coerenti con la migliore tradizione culturale italiana ed europea: quella dei diritti e della dignità della persona, degli ideali democratici di libertà, giustizia e partecipazione politica, abbandonando il retaggio di forme più o meno velate di razzismo, che sono scientificamente oltre che moralmente inaccettabili, e delle quali resta traccia nel vigente principio dello ius sanguinis.In conclusione, quindi, voglio esprimere la mia piena e totale solidarietà al Ministro Cécile Kyenge per gli ignobili e vili insulti razzisti che le sono state rivolte da alcune forze politiche per la sua coraggiosa decisione di sollevare il dibattito sul tema della cittadinanza. Infine, mi preme ribadire nuovamente l’attualità di una celebre frase del compianto Cardinal Carlo Maria Martini che durante una bellissima omelia ambrosiana affermò che: “chi è orfano della casa dei diritti, difficilmente sarà figlio della casa dei doveri”.

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