Ancora una volta. Ancora una scuola. Una tragedia si consuma all’interno di una scuola, di un’aula scolastica. Questa volta è accaduto all’Istituto Alberghiero «De Panfilis» di Roccaraso dove un alunno, Christian Lombardozzi, è morto durante una lezione, scivolando dalla sedia su cui si stava dondolando. Una caduta del tutto accidentale, ma che si è rivelata fatale. Una scena che, come capita spesso assistere nelle nostre aule, suscita al momento qualche risata da parte degli altri ragazzi, ma che nel giro di qualche istante si ricompone per rientrare nella normalità. Ma questa volta di normale c’è ben poco perché tutto precipita. Il ragazzo non si rialza, rimane lì per terra col capo chino, lo sguardo si fa cianotico per via dell’affannosa respirazione. Immediati i primi soccorsi. Al professore presente in classe la situazione appare subito nella sua gravità. A nulla sono valsi i vari tentativi per rianimarlo. E, infatti, il ragazzo muore poco dopo l’arrivo degli operatori del 118 senza riprendere conoscenza. Qualcuno griderà a una tragedia annunciata. Ma le tragedie non si annunciano. Le tragedie accadono e basta. Diverse altre sono accadute in questi ultimi tempi con ragazzi vittime a volte di fatalità, a volte di strutture fatiscenti, a volte di cyberbullismo, a volte di incomprensioni professionali. Un mondo, quello degli adolescenti, che chiede in silenzio più attenzione da parte di noi adulti, ma che noi spesso quel silenzio non sappiamo o non vogliamo interpretare. Ora si parlerà di responsabilità da individuare e guarda caso, ancora una volta, si partirà dai presidi per finire ai docenti. Per questo episodio, infatti, sono già arrivati i primi avvisi di garanzia indirizzati alla preside in quanto responsabile in primis di quanto avviene in un Istituto, al docente presente in aula durante la lezione e al responsabile della sicurezza. C’è chi si affretta a sottolineare che sono atti dovuti, ma intanto sono atti che si muovono su una precisa e tremenda accusa da cui difendersi: omicidio colposo. Un’accusa che grida prudenza a chi è abituato a trovare i responsabili sull’onda dell’emotività che simili tragedie scatenano. Dai primi esiti dell’esame autoptico, infatti, emerge una situazione diversa dalla causa accidentale. Non si parla più, infatti, di trauma da caduta, ma di malore improvviso, forse un infarto. Quindi la sedia forse non c’entra per niente. Forse. Occorre aspettare prudentemente gli esiti degli esami istologici. Il funerale di questo giovane adolescente sarà il momento del massimo dolore per i famigliari e per quanti lo hanno avuto vicino, poi il silenzio si impone nel rispetto del dolore dei genitori e delle indagini da parte degli inquirenti che, come giusto che sia, facciano chiarezza. La scuola, dunque, ancora una volta si rivela un luogo dove si richiede la massima vigilanza da parte di tutti perché è a scuola, vista come una piccola comunità, che si annidano rischi e pericoli di ogni genere. Che siano di fatalità come nel caso di Roccaraso o di violenza come nel caso dell’Istituto superiore “Genovesi-Da Vinci” di Salerno dove l’altro giorno uno studente è stato accoltellato al collo e all’addome da un coetaneo in corridoio per un banale litigio, o di ordine sociale laddove si è talvolta costretti a fare i conti con giovani o giovanissimi ingabbiati dai compagni burloni, rendendo così l’ambiente iniquo fino a spingere qualcuno all’isolamento, fatto sta che la scuola non è più considerata un luogo sicuro perché nelle sue aule, nei suoi bagni e nei suoi corridoi, succede di tutto. Ma siamo sicuri che sia proprio così? Eppure le scuole sono altro. Sono luoghi educativi, dove si impara a leggere, a scrivere e far di conto, sono luoghi di formazione delle future generazioni, sono luoghi dove i valori entrano dalla porta principale per proporsi come elementi di condotta di vita. Sono luoghi dove si propongono modelli di comportamento che passano dai genitori ai professori, dove le idee divengono mezzo e strumento per affermare se stessi a contatto con gli altri. Così la scuola diventa punto di riferimento, valore di scambio dove a nessuno deve essere mai richiesto di pagare il conto. Men che meno può essere chiesto il massimo dei valori: la vita. Ma talvolta le cose vanno storte, il destino si accanisce e la tragedia si impone «usque ad mortem et ultra», “fino alla morte e oltre”. Il dolore rientra in gioco, la sofferenza ci rende vulnerabili, le lacrime ci sono compagne. Ci scopriamo deboli tra i deboli, non rimane che l’unica consolazione: il ricordo. Che una sedia, se sarà confermato, a norma o fuori norma, diventi un mezzo talmente a rischio da far fuori un ragazzo di diciassette anni, mi sembra un assurdo storico. Eppure un fatto scioccante è successo in quell’aula e tutti con questo maledetto episodio dobbiamo ora fare i conti. Lo faranno principalmente la mia collega Maria Paola De Angelis, il prof. Dino Di Meo presente in aula, anche se poi tutti siamo chiamati a fare i conti con l’ineluttabilità della vita. Ma tutto questo non cambia la realtà. La dura e triste realtà. Ovvero quella di uno studente che non c’è più, quella di genitori che avevano affidato il proprio figlio alla scuola, quella dell’amico di banco che nulla ha potuto fare per evitare che quell’improvviso accasciarsi a terra potesse rivelarsi così drammatico. La casualità in questo caso ha preso il sopravvento sulla regolarità. Quel ragazzo non frequenterà più regolarmente le lezioni, non tornerà più regolarmente a casa, non studierà più regolarmente per raggiungere gli obiettivi che si era prefissato. Niente di tutto questo. Niente di niente. Tutto è finito in quell’aula che lo ha visto per tre anni protagonista. Tra le mani di noi tutti non rimane che la caducità della vita. A tal proposito di alta poesia sono alcuni versi del Libro Sesto dell’Iliade di Omero: «Come stirpi di foglie, così le stirpi degli uomini. Le foglie: alcune ne getta il vento a terra, altre ne genera la selva fiorente, le nutre al tempo di primavera. Così una stirpe di uomini nasce e un’altra muore ». Ciao ragazzo.
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