Perchè un gruppo di docenti e dirigenti scolastici hanno sentito il bisogno di esprimere tutta la propria contrarietà all’illecito andazzo delle copiature durante gli esami? Siamo alla vigilia di prove importanti a cui saranno chiamati *preside dell’Istituto tantissimi studenti. Che siano delle medie con gli esami di licenza o delle superiori con gli esami di maturità, il problema non cambia. E qual è il problema? Che quasi tutti gli studenti, secondo una recente indagine, durante le prove scritte, si pongono un solo obiettivo: farla franca, ovvero riuscire a copiare senza essere beccati. Il dato più discutibile rimane il fatto che in quest’opera, che comunque rimane ad alto rischio, condotta in preda al cardiopalma per paura di essere scoperti, dove la tensione regna sovrana, non sono pochi quei genitori disposti a sostenere la causa fino a schierarsi dalla parte dei figli. E’ come voler dire ai ragazzi che non vi è nulla di illecito in una condotta che trae la sua origine dalla scaltrezza, per assurgere a valore comportamentale. Nasce una nuova cultura: la tolleranza! A questo punto cerchiamo di capire perchè tanta tolleranza nei confronti di chi stipula una sorta di patto con l’illegalità. Viviamo tempi un po’ strani. Si tende, spesso, a dare un senso a ciò che un senso non ha. E mi spiego. Talvolta si tende a tollerare chi copia durante le prove d’esame, mentre non si riesce a tollerare chi, invece, interviene a segnalare ciò che non si deve fare; si tende a tollerare chi alza la voce per ottenere qualcosa, non si riesce a tollerare chi educatamente esprime delle motivazioni per arrivare alla stessa conclusione; si tende a tollerare lo sfacciato di turno, non si riesce a tollerare chi è unto dalla sfiga. E si potrebbe continuare, tanta è la casistica, ma il problema più che di persone è culturale. Non va dimenticato che siamo di fronte a ragazzi consapevoli dell’illecito che si commette, ma fanno affidamento sulla tifoseria parentale come sulla benevolenza dei docenti. Recentemente anch’io ho aderito all’appello promosso dal «Gruppo di Firenze - per la scuola del merito e della responsabilità» che, in vista degli esami finali, ha avviato una raccolta firme per una «Dichiarazione di insegnati e presidi per la correttezza degli esami di stato». Un documento che prossimamente verrà presentato alla stampa a Roma. Ma perchè docenti e presidi arrivano persino a mettere nero su bianco un auspicio, ovvero di impegnarsi in una intensa attività di vigilanza, affinché nessuno copi durante le prove? La risposta è tutta nella stessa domanda. Perchè c’è una minoranza di presidenti di commissione o di commissari d’esame che tollerano l’audacia dei ragazzi, abili nel trasformare un comportamento temerario in una sorta di azione ardimentosa fino a tirarsi le simpatie di chi è chiamato a vigilare. Così facendo, però, si viene a mettere in discussione il corretto svolgimento della prova che finisce con l’avvalorare le abilità di chi copia, penalizzando nel contempo la correttezza di chi non copia. E tutto questo in un periodo in cui sempre più si punta al riconoscimento del merito. Ma per alcuni copiare è un’arte riservata a pochi. I più scaltri, i più fortunati, roba da primi della classe. Anzi. C’è chi sostiene che copiare sia a tal punto un’arte, da dedicare persino un convegno dall’accattivante titolo: «Copiare fa bene». Un convegno tenuto in quel di Firenze, guarda caso proprio là dove è sorto il «Gruppo di Firenze» impegnato in una sorta di crociata contro l’arte del copiare. Non che il copiare sia solo di chi si sente in difficoltà o di chi, preso da innata pigrizia, non fa girare i propri neuroni. Ai professionali come ai licei, tra gli sfigati come tra i più fortunati, tra i figli dell’alta borghesia come tra i figli del ceto medio-basso, copiano tutti. Perchè fa parte della nostra cultura. Una cultura che la scuola non può avallare. Come può una scuola dedicarsi all’educazione alla legalità e poi tollerare che si copi in maniera indisturbata durante le prove? D’accordo, nella vita c’è sempre una via di mezzo. Ma il punto è proprio qui. Può essere considerata l’arte del copiare una via di mezzo tra ciò che è visto come una situazione complessa e ciò che si presenta come una scorciatoia? Certo che colui che copia si assicura l’esito del risultato, a meno di aver sbagliato a copiare. In questo caso è bene che si affidi a San Giuseppe da Copertino protettore degli esaminandi. D’altra parte abbiamo invece, chi sceglie di percorrere la strada della legalità, della correttezza, del rispetto delle regole, del merito per capacità acquisita e non certo del merito per abilità procacciata. Sono principi e valori che una scuola deve mettere al primo posto, abolire la cultura del copiare per sostituirla con la cultura del meritare. Rimanere indifferenti o peggio ancora mostrarsi comprensivi ancorché indulgenti nei confronti di abili frontalieri della morale educativa, porta a giustificare anche le scorrettezze. E allora bisogna intervenire con la massima severità per non mostrarsi né indulgenti, né comprensivi, né consenzienti. Bisogna dire ai ragazzi, senza mezzi termini, che copiare non è un’arte, ma è anche un po’ come imbrogliare, un po’ come rubare. E se lo fan tutti, non è che questo giustifica chi si appresta a farlo per la prima volta per raggiungere la schiera dei dritti. Come si fa a calibrare lo stato della prova? E non intendo qui la prova d’esame, ma la prova di misurarsi come persone nelle situazioni di difficoltà. Ai ragazzi va detto che le difficoltà della vita non si affrontano né copiando, né imbrogliando il prossimo, ma misurandosi con il potenziale delle regole con le quali tutti, prima o poi, dobbiamo fare i conti. Originale la tesi di Claudio Magris, saggista e scrittore contemporaneo, secondo cui «copiare e far copiare è un dovere, un’espressione di quella lealtà e di quella fraterna solidarietà con chi condivide il nostro destino». Mah! Sarà, ma non ci credo. Intanto lo cito per «par condicio»!
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