Corpo a corpo con le tasse

Il tema delle tasse dominerà la futura campagna elettorale. Diversi lo hanno reso ufficiale, alcuni lo lasciano intendere, altri (i più) mostrano contrarietà a parlarne. Le grandi incognite della nostra politica sono sempre state i silenzi. Non si sa mai se non c’è fretta, incertezza, difficoltà a gestire o chissà cosa Le tasse sono per troppi, tranne per coloro che ne fanno uno spot, un esercizio di metafora. Preferiscono parlare di “risorse necessarie da individuare nella politica di bilancio”. I “tecnici” fanno ipotesi d’intervento. Piacciono, non piacciono? Zitti! Esultano solo i “piazzaioli” che possono così dare sfogo alla loro mobilitazione.

Il 2013 sarà un anno di votazioni in diversi Paesi europei e basterebbe sfogliare i giornali stranieri, in particolare tedeschi, per accorgersi che l’ argomento è tutt’altro che un modo di colorare la contesa su chi le tasse le deve pagare.

Da noi si incontrano senza sforzo cittadini che accusano il “potere” d’essere avido e rapace. Accusa facile, quanto vera. E’ sempre stato così: lo dicevano quando il governo era piemontese (Fiorenzo Bava Beccaris docet), lo si dice oggi che molti lo etichettano dei “poteri forti”. Altrove - Germania in testa - intoppano e urtano quelli che pur di non tirar fuori un euro di tasca si fanno accusare d’essere i domestici dello “Scudo rosso”: il casato dei Rothschild esempio di regia del sistema finanziario che trasse grandi profitti dai debiti sovrani di Stati in difficoltà.

Tutti i governi sono sempre sospettati d’essere affamatori e ingordi. bramosi e voraci. Usiamo gli “attributi” che sventaglia da sempre Oscar Giannino a Radio 24I, uno che non ci pensa due volte a gridare “Governo ladro!”. Ma lui almeno argomenta, tira fuori ragioni assolutamente plausibili.

Che le tasse siano insostenibili per molti cittadini e imprese è un assioma. Le tasse non ossessionano solo coloro che in un modo o nell’altro le scampano o le evadono.

La paura di doverle pagare - di doverle pagare “ancora” - di tirare di più la cinghia – è reale. L’angoscia può unicamente lasciare indifferenti coloro che evadendole hanno realizzato un dotato surplus, che è per l’Italia il vero primato europeo.

Una volta in Europa ci dicevano che eravamo i più dritti, oggi l’aggettivo che ci appioppano è un altro. La malizia, naturalmente, non é nelle cose o nelle situazioni, ma nella interpretazione di chi le guarda.

La paura di imposizioni ulteriori è una cosa diversa dal timore di essere scoperti contribuenti infedeli.

Ma la paura dei primi e il timore dei secondi insieme possono incoraggiare l’ euroscetticismo e l’antieuropeismo. Non che Bruxelles non abbia difetti o responsabilità. Ci mancherebbe! Anzi, sarebbe ora che qualche analista le tirasse fuori dalle tante chiacchiere vaghe e duelli infantili. Quel che non ci possiamo concederci è che ai danni combinati dagli eurocrati si aggiungano quelli inculcati nella testa della gente dal pregiudizio che esiste legame tra il pagare le tasse e l’idea di Europa.

Un po’ più di coraggio non guasterebbe. Nel dire senza opacità e giri di parole alla gente e alle imprese, che l’uscita dalla crisi richiede obbligatoriamente più Europa e che lo sviluppo per il quale ansiamo tanto non può che significare Stati Uniti d’Europa. I discorsi sulla “sovranità” sono in parte veri, ma piuttosto raffermi dopo l’accordo fiscale del 2 marzo scorso che impone il pareggio di bilancio (in Italia adottato precedentemente). Con una produzione “spenta” com’è attualmente la nostra, un pareggio di bilancio, si può solo raggiungere o con la compressione della spesa per servizi, o con l’imposizione fiscale o con il ricorso alla Bce, che imporrebbe però altri legami e costrizioni.

Per dirla con qualcuno, per cinque anni almeno la pastasciutta è fatta. Siamo liberi solo di darle un sapore o un altro, mettere del basilico o dell’aglio. Sempre che i prossimi governanti non ci regalino un qualche bel colpo d’ala… Realismo e esperienza però non consentono (in questa materia) d’essere troppo fiduciosi.

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