Cosa si attende la casa di riposo Santa Chiara

Il futuro di Santa Chiara, come noi lodigiani da sempre chiamiamo l’attuale Azienda per i Servizi alla Persona che si trova in fondo a via Paolo Gorini, non può lasciarci indifferenti. Tutti i lodigiani sanno che cosa è, dove è, e sanno che possono averne bisogno, per sé o per i propri parenti. Dunque, può diventare uno dei tanti Enti assistenziali della Lombardia, diretti, di fatto, da un funzionario regionale o può restare lodigiana trasformandosi in Fondazione. La questione è molto complessa e vi sono argomentazioni per l’una o per l’altra soluzione.Anch’io voglio dire la mia, pur non possedendo il quadro completo in tutti suoi dettagli. Il mio parere è che si trasformi in Fondazione e resti saldamente ancorata al territorio lodigiano ed ivi inserita, in un rapporto stretto con le amministrazioni pubbliche, i servizi sociali a vario titolo presenti, le associazioni e i cittadini tutti.Faccio solo due considerazioni.La prima. Nelle recenti discussioni intorno al Patto di Stabilità, è emersa la volontà di alienare, mettere sul mercato, quote di Aziende di stato, fare cassa e cercare di migliorare così i nostri bilanci. Cori di critiche. Il fatto viene collegato ad altre, e più vistose, perdite di italianità: marchi e tipiche produzioni del nostro assetto industriale finiti in mani straniere. Quando non si riesce a mantenere la società, la si vende. E così la produzione viene trasferita (con grave perdita di posti di lavoro), e poi la desertificazione postindustriale (vedi la nostra Polenghi Lombardo) con buona pace di chi aveva creduto in un mercato globale. Non è la stessa cosa, mi rendo conto, ma per i lodigiani rinunciare a gestire il proprio marchio “Santa Chiara”, mi pare una rinuncia grave nei confronti di un bene che da secoli benefattori, istituzioni ecclesiastiche e civili ci hanno lasciato.Seconda considerazione. L’eventuale nuova gestione affidata dalla Regione ad un dirigente di provata esperienza ( e fedeltà ) potrà garantire la continuità dell’attuale efficienza. Ma un dirigente catapultato da un angolo qualsiasi di Lombardia a Lodi, non sa niente di Lodi e della sua Santa Chiara. Non ne conosce il tipo particolare di rapporto con la città, la sua storia e le sue attuali relazioni con chi si occupa di anziani, non può subito capire i meccanismi di continuo adeguamento ai bisogni della nostra popolazione invecchiata. Se questo dirigente sarà molto bravo, potrà capire qualcosa, ma con l’occhio all’orologio, pronto a ritornare nella sua città, impegnato in colloqui con la dirigenza regionale quando si profila un “giro” di direttori. Rischia di restare un estraneo. Dirigere una struttura come questa vuol dire amarla, dedicarvi ogni tempo disponibile, incontrare gli ospiti, i loro familiari, sapere dove abitano e come sono stati curati e assistiti in precedenza. Ho conosciuto tanti presidenti di Santa Chiara: di tutti ne ho un ottimo ricordo per la passione con cui vi si sono dedicati. Era un modo di amare la propria città, reso ancora più vivo dalla conoscenza delle persone. Santa Chiara è un mondo che va amato, servito, prima che amministrato. Qualche volta bisognerebbe prendere come esempio il personale che spesso, ma forse sempre, mostra una grande premura verso tutti gli ospiti. Una premura, un’attenzione che anche gli amministratori finora hanno sempre avuto.Auguri, che ci sia sempre questa attenzione. Anche se verrà un amministratore nominato dalla Regione e che alla Regione dovrà rispondere. Ma spero nella Fondazione.

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