All’inizio fu l’alcol, poi le droghe e ora i vaccini. Ad essere sotto la lente d’ingrandimento sono sempre loro: gli insegnanti. Cosa c’entrano gli insegnanti con l’alcol, le droghe e i vaccini? C’entrano, c’entrano. State a sentire. A cominciare è dapprima la Regione Piemonte con una legge regionale che obbliga i docenti in servizio in tutte le scuole piemontesi a sottoporsi all’alcoltest. Motivi di sicurezza lo impongono, è la tesi sostenuta dai legislatori regionali piemontesi. Come dire che nelle scuole di Camillo Benso conte di Cavour non mancano i docenti ciucchi ai quali bisogna porre rimedio. E chi può farlo meglio di un palloncino da far gonfiare prima di entrare in aula? I presidi sono invitati a inserire nel budget dell’istituto anche una somma necessaria a procedere ai controlli richiesti. Non solo. Ma qualora un qualche docente venisse beccato un po’ alticcio a zigzagare nei corridoi della scuola, ebbene costui è tenuto a pagarsi le spese sostenute per i controlli eseguiti.
Ècome obbligare un impiccato a comprarsi la corda. La questione, come da previsione, solleva un gran polverone col risultato di dividere presidi e docenti tra favorevoli e contrari. Non mancano, infatti, presidi indefessi pronti a emanare circolari per dare il via ai controlli richiesti, così anche tra i docenti non mancano coloro che accettano di sottoporsi allegramente alla prova del palloncino, esponendo però la categoria a un’ulteriore frustrazione che va ad aggiungersi a quelle già subite dagli organi di governo e dall’intera società. Al Piemonte segue la Lombardia. E se i legislatori piemontesi non si fidano dei docenti dediti al “Barolo” o al “Nebbiolo”, i legislatori lombardi non sono da meno. Con una differenza. Ai piemontesi il compito di dare la caccia agli insegnanti ciucchi, ai lombardi l’onore di scovare qualche docente dedito a farsi una “pippa” nel sottoscala.
È il febbraio 2017 quando la Regione Lombardia approva, infatti, una proposta di legge per portare in discussione al tavolo Stato-Regioni la questione dell’uso di droghe da parte di insegnanti. Anche in questo caso la motivazione è quella di sottoporre a sorveglianza sanitaria quanti lavorano a contatto con i ragazzi al fine di tutelare la salute, la sicurezza e l’educazione dei ragazzi. Del resto in soccorso a questa tesi viene la legge 125/2001 dove all’art. 15 si legge: «Nelle attività lavorative che comportano un elevato rischio d’infortuni sul lavoro per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi, è fatto divieto di assunzione e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche».
A ciò va aggiunto un ulteriore provvedimento. Nel marzo 2006, infatti, la Conferenza Stato-Regioni aveva ritenuto l’attività d’insegnamento una delle attività a rischio con il conseguente divieto di assunzione di bevande alcoliche nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado. Tutte queste iniziative fanno presupporre che nelle nostre scuole, secondo alcuni, circolano strani esseri che un po’ beoni, un po’ cocainomani mettono a serio rischio «la sicurezza dei terzi» ovvero degli alunni. E non è finita. Veniamo ad oggi. A far discutere è il decreto Lorenzin con i vaccini obbligatori. Secondo un emendamento di “pulizia sanitaria” forse anche i docenti saranno obbligati a vaccinarsi o a documentare l’avvenuta vaccinazione ovvero «l’immunizzazione a seguito di malattia naturale» sopraggiunta.
Se passerà questo emendamento, allora si può dire che dopo l’uso dei palloncini per scovare il docente che stranamente canticchia in aula; dopo il controllo antidoping per scovare il docente sniffatore, arriva la caccia al docente immunodepresso. Che ci sia qualche docente pronto a riprendere le lezioni pomeridiane con il “cip cip” dell’uccellino di Del Piero in testa per aver bevuto una birra ad alto contenuto alcolico, può essere; che ci sia qualche altro che non riesce a fare a meno di farsi una canna per trovar la forza di elucubrare Dante con il famoso verso «Pape Satàn, pape Satàn aleppe!» (VII° Canto dell’Inferno), anche questo può essere; ma che episodi singoli e sporadici debbano gettare discredito su una categoria che ha già pagato molto in fatto di rilevanza sociale negli ultimi decenni, questo non possiamo permetterlo.
Allora mi chiedo. Siamo sicuri di essere di fronte a docenti che si presentano a scuola con l’alito profumato di «Barbaresco» o offuscati dalle inebrianti sniffate mattutine senza che nessuno prenda posizione? Vabbè che pure Alcibiade si presentò a un simposio tra filosofi, oggi diremo a una conviviale tra amici, ubriaco fradicio, cantando e incespicando, sorretto dagli amici tra le risate degli astanti alimentate dalle sue elucubrazioni sull’«elogio di Socrate» su cui è meglio soprassedere. Quello che uscì dalla bocca di Alcibiade è da bollino rosso. Ma su andiamo. La scuola non è mai stata un’osteria e mai lo sarà, come una conviviale dal sapore culturale non sarà mai un’orgia boccaccesca.
Se poi vogliamo togliere ogni dubbio sulla questione, visto che certi fatti di cronaca hanno finito col minare le menti, allora che si facciano pure i controlli, ma seguendo un protocollo che metta in cima alla scala da una parte l’interesse primario della tutela e della salute degli allievi e dall’altra la tutela professionale di quanti sono seriamente impegnati in un compito educativo e formativo. Mi trovo d’accordo con la Ministra Fedeli sulle nuove regole da adottare per reclutare gli insegnanti. La laurea da sola non è una garanzia che possa determinare un senso della didattica. Occorre dell’altro.
Occorre dare spazio a un percorso che dalla laurea conduca a un processo formativo iniziale, a un necessario tirocinio che trovi nella funzione docente l’approdo a una idoneità probabilmente più elaborata, ma certamente più vicina a quelle variabili con le capacità relazionali e le abilità motivazionali che fanno dell’insegnamento una missione fondata sulla didattica formativa e inclusiva. Non si chiedono delle prove psicoattitudinali, che pur vedrei di buon grado dato il delicatissimo compito educativo a cui un insegnante è professionalmente chiamato, tuttavia oggi gli alunni non sono più quelli di una volta e questo vale anche per il contesto famigliare e sociale.
Fenomeni come insalubrità psichica, sociale e ambientale, devianza minorile, abusi sessuali, uso di sostanze stupefacenti, famiglie miste con differenze di genere e di stirpe, famiglie multigenerazionali e famiglie allargate o una difficile sfera comunicativa sono solo alcune variabili che richiamano un nuovo approccio all’insegnamento che non può essere più cattedratico, ma deve essere necessariamente culturale e soprattutto esperienziale.
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