Caro direttore, la discussione che hai stimolato sulle nuove Province e sul nostro territorio sta producendo riflessioni utili che evidenziano anche la drammaticità della fase che viviamo. Cittadini e imprese e le astensioni forti del recente voto amministrativo segnalano, fra le tante emergenze a partire dal terremoto, quella di una semplificazione istituzionale e di una forte sburocratizzazione. In tal senso si è mossa la discussione nei Governi Berlusconi e Monti, prima con ipotesi di accorpamento delle Province, poi con ipotesi di decadenza (30 aprile 2012): in corso di mandato si sarebbero azzerati i consigli provinciali. Ulteriori modifiche e la legge di conversione, correggendo vizi di illegittimità evidenti(le Province sono previste dalla Costituzione), hanno mantenuto in vita le Province sino alla scadenza naturale, mentre tutte dovranno essere ridisegnate e ridotte di numero con “funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale”. Rimarrà il nome “Provincia”, ma muta radicalmente la sua fisionomia che sarà essenzialmente di “coordinamento” e non di “gestione” e cambiano i suoi organi a cominciare dal Consiglio Provinciale che non sarà più eletto dai cittadini, ma “dagli organi elettivi dei Comuni” e composto da “non più di dieci componenti”. Un dimagrimento rilevante di funzioni che dovranno essere trasferite con parte del personale prevalentemente ai Comuni. Penso anch’io, e lo hai sottolineato, che questo processo potrà coinvolgere una serie di servizi ed Enti, per cui condivido l’idea di un gruppo di lavoro, aperto alle forze più rappresentative, coordinato dalla Provincia e dal Comune di Lodi per predisporre percorsi unitari e proposte(come si fece per l’avvento della Provincia con relazioni in tutte le direzioni).Questo, a me pare, è il punto da approfondire: il disegno di riformulazione delle nuove Province deve essere credibile, funzionale, ed essere un progetto partecipato, lo si condivida o no. Il rischio, altrimenti, è quello di subire un processo senza convinzioni. Il punto dirimente sarà la legge “statale o regionale”: lì meglio si vedrà la fisionomia delle nuove Province. Non deve essere il “contentino” per un’opinione pubblica critica che non si tacita con “espedienti”, ma un progetto che si armonizza con altre innovazioni riguardanti le Regioni (troppa gestione, poco indirizzo) ed i Comuni(in enorme difficoltà), per procedere alla scelta di “vasta area” più adatta al nostro territorio. Se procederà questo disegno e le funzioni della nuova Provincia si ridurranno, occorrerà esaltare le funzioni di coordinamento e far leva di più sui Comuni, sui Consorzi, sull’Asl e l’Azienda Ospedaliera, sui Parchi, su accordi fra imprenditori e Organizzazioni Sindacali, sulla Camera di Commercio, sulle Banche, sull’impresa sociale e il volontariato ecc. Ognuno con la propria autonomia. De Rita ci ricorda che “non si fa sviluppo senza soggetti”: la sovranità economica è passata a forze a dimensione planetaria e per questo occorre una nuova politica europea di crescita sostenibile, sollecitata ora anche dagli Usa, ma è anche necessario far leva sui territori, su tanti protagonisti, sui “corpi intermedi”. Oltre alla vicinanza a lavoratori in cerca di occupazione e imprese in crisi (ne hanno parlato Uccellini e Manfredi), è necessaria una sperimentazioni di iniziative e accordi con una visione arricchita della “competitività”: politiche industriali, innovazione, territorio, cultura, ambiente, risorse umane, socialità, sono comparti che non si devono contrapporre.Uno sviluppo più sostenibile e solido: alcune misure dovranno essere nazionali (l’annunciato Decreto Sviluppo Sostenibile, la legge sull’apprendistato), altre possono essere regionali e il risultato di positive intese locali. Al Parco Tecnologico, ad esempio, si sono costituiti sette Distretti agroalimentari regionali (latte, suini, riso, agroenergie ecc) e ciò significa che centinaia di imprese, col Parco e l’Università e con altri Enti di ricerca, tentano di realizzare progetti innovativi.Sul governo del territorio, che dovrebbe essere funzione centrale delle nuove Province, condivido l’opinione di chi ritiene essenziale il rapporto con i Comuni (Francesco Cancellato, Mauro Soldati). Gli strumenti urbanistici in questi decenni si sono trasformati: dal Piano di Fabbricazione, al Piano Regolatore Generale, il Piano di Governo del territorio. La loro evoluzione ha progressivamente accentuato l’interesse ad un’area più vasta di quella comunale, battendo visioni municipalistiche. Il riassetto amministrativo ed i suoi confini non potranno prescindere dalle principali risorse in mano a una comunità: suolo, territorio, paesaggio e dalla funzione delle Associazioni dei Comuni. La questione della “logistica” richiede una pianificazione di questi insediamenti, esattamente come lo si chiede per le aree destinate alla “residenza” per la nota ragione che il territorio è un bene limitato. Quello del governo della logistica (che è sbagliato demonizzare come ricorda l’ing. Moro perché l’impresa è a rete, ma anche sottovalutare) è uno dei più grandi problemi produttivi e ambientali italiani che può incidere sui costi delle merci e del paesaggio: tutti avvertiamo che occorrerebbero “sistemi logistici” più legati alla ferrovia e al trasporto via mare (le “autostrade del mare” che abbiamo incentivato). Ma come può usarsi la ferrovia se la logistica è dispersa e municipale?E’ tema ampiamente eluso nella discussione nazionale anche se in Italia siamo a livelli elevatissimi nel trasporto su gomma, con relative “ polveri sottili” (non sono sparite anche se nessuno ne parla) e motiva in Lombardia la scelta di tre nuove autostrade... Il completamento dell’iter dei Piani di Governo del Territorio dei Comuni (pare che 45 siano stati approvati e adottati) e della Provincia con le programmazioni settoriali su mobilità, energia, paesaggio ecc., insieme a quelli idrogeologico e sismico annunciati dal Ministro Clini, offrono riferimenti per scelte concrete di programmazione, sfuggendo discussioni astratte. Siamo stati i primi in Italia ad aver fatto il Piano Territoriale, il piano “regolatore” del Lodigiano e questa esperienza deve essere mantenuta, aggiornata e valorizzata.Una terza questione che dovrebbe essere contestuale alla definizione della nuova Provincia è il processo di riforma della pubblica amministrazione, tema fra i più sentiti. Il presidente di Confindustria l’ha definita “la madre di tutte le riforme”; Confartigianato del Lodigiano ha calcolato che, solo per assolvere adempimenti amministrativi, ogni azienda deve sborsare 13.365 euro l’anno. E poi c’è il tempo che si perde, le code, le responsabilità, i casi assurdi.Eppure è vietato semplificare. Ci ha provato il Ministro Brunetta a farla semplice e non è finita bene. E’ vietato anche generalizzare, perché ci sono aree con servizi efficaci ed altre meno, perché ci sono professionalità elevate e dipendenti privi di formazione. La Francia ha cominciato dalla testa, dai grandi Dirigenti, dalla capacità di saper organizzare e “motivare”, dal rapporto coi cittadini. E se si provasse ad operare insieme: amministratori, lavoratori-rici e sindacato, cittadini per un progetto più ampio con l’occasione della nuova Provincia? In sostanza: credo sia necessario affrontare il tema della riforma delle Province con una linea credibile e innovativa, senza sottovalutare che il “collasso” della rappresentanza segnalato dal voto e le difficoltà dei “corpi intermedi”, consigliano capacità di ascolto e forte progettualità.
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