Il 63° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata il 10 dicembre del 1948, sarà ricordato come l’anno dei diritti conquistati grazie alla Rete. È la Primavera araba dei social network e del web 2.0 (Youtube, Twitter, Facebook), che hanno permesso a migliaia di ragazzi scesi in piazza per rovesciare i regimi che opprimevano le loro libertà di conoscere un altro mondo, di farsi conoscere (e far conoscere a noi occidentali la situazione del loro Paese) e di organizzarsi. Una grande rivoluzione sociale, perché nata (anche) grazie agli strumenti della socialità sulla Rete. Il 2011, secondo Ban Ki-Moon, è stato un anno “’straordinario” nel corso del quale i diritti umani sono “divenuti contagiosi” grazie “all’ascesa dinamica e incontrollabile dei social media”. Nel suo messaggio per la celebrazione della giornata mondiale dei diritti dell’uomo, il segretario generale dell’Onu ha sottolineato il ruolo chiave dei social network per le popolazioni nella “ricerca di legittimazione per le loro aspirazioni”.
Il vento della Primavera araba e i cambi di regimi ottenuti in Tunisia, Egitto e Libia devono molto a Internet. “Sono passati – scrive Ban Ki-Moon –i tempi nei quali i governi dispotici potevano controllare interamente il flusso d’informazioni. Oggi i governi non possono soffocare il dibattito pubblico ed eventuali critiche bloccando l’accesso a internet e ai vari social media”. L’Onu ha così scelto di celebrare la Giornata anche sulla Rete, attraverso una campagna su Facebook, Twitter e sul network di microblogging cinese Sina Weibo, con l’obiettivo di far conoscere la Dichiarazione universale. Un’iniziativa che ha riscosso molto successo tra gli internauti: oltre 14 milioni di visite in tutto il mondo, di cui 6 nella sola Cina.
Ai festeggiamenti del Palazzo di Vetro fanno da contraltare, però, i molti regimi che continuano ad abbattere la scure della censura sulla Rete. Sono ancora decine i Paesi nel mondo che negano il libero accesso a Internet e, per accendere i riflettori su alcuni di questi, Reporters Sans Frontières ha lanciato una nuova campagna, “paradisi della censura”. L’iniziativa ha lo scopo di richiamare l’attenzione dei turisti sulla libertà di parola e sulla libertà dell’informazione in Messico, Vietnam e Thailandia. “Abbiamo scelto tre Paesi che sono un paradiso per i turisti in vacanza e un inferno per i giornalisti e i blogger”, spiega, dalla pagine del sito dedicato all’iniziativa (www.paradisidellacensura.it), il segretario generale di Reporters Sans Frontières, Jean-François Julliard.
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