Costa Concordia davanti agli occhi di tutto il mondo, titolano i quotidiani e il Presidente del Consiglio Enrico Letta non manca di puntualizzare in conferenza stampa che la difficile operazione di raddrizzamento è un giusto orgoglio nazionale. E in effetti siamo stati straordinariamente bravi ed efficienti, recuperando un’immagine internazionale per varie ragioni seriamente compromessa. L’Italia non è bella e fascinosa come la Rossa di Maranello, che s’impone all’attenzione anche quando perde o arranca, ma nelle grandi occasioni dimostra di tenere in grembo risorse nascoste e insperate e merita un bell’applauso. Ora si apre il capitolo dello smantellamento del relitto e i mass media si affrettano a informare che su questo fronte si è aperta una contesa tra i porti italiani per assicurarsi la destinazione finale della nave e qui l’orgoglio non c’entra più niente, ma solo i soldi, tanti soldi, che provengono dal recupero e riciclaggio di strutture e materiali di cui il gigante ferito abbonda. Un tesoretto di qualche centinaio di milioni di euro, che fa gola perché può aumentare l’occupazione nel distretto locale e favorire l’indotto. Non è mia intenzione soffermarmi sugli aspetti tecnici ed economici, ma desidero evidenziare un fatto curioso, che emerge dall’analisi delle ragioni che stanno dietro le forti sollecitazioni delle autorità portuali. In breve, nella forma di capitalismo oggi imperante e nella società dei consumi è possibile mantenere in piedi l’economia nazionale semplicemente disfacendo di notte quel che è stato fatto di giorno, esattamente come faceva con la sua tela Penelope, sposa di Ulisse. E questa non è solo una mera possibilità, ma, come nel caso della Concordia, l’unica alternativa, e questo spiega il grande rilievo dato dalla stampa alla notizia.Del resto, non c’è da sorprenderci, il progresso ci ha abituati a ben altre incongruenze. Ci vantiamo di essere una nazione giusta e liberale, ma i delitti più efferati sfuggono alla pena e i processi durano tempi insopportabili. Tutti agognano la crescita, ma la povertà dilaga. L’obiettivo più ambito è l’aumento del Pil, ma si fanno investimenti colossali in Grandi Opere, quali le infrastrutture viarie e ferroviarie, che aprono voragini nei conti dello Stato e pregiudicano quella stessa ripresa che vorrebbero propiziare. Questo è il caso della Brebemi, della Pedemontana e della Tangenziale Esterna Milanese, che danno l’assalto agli ultimi lembi di terra vergine della Lombardia facendo carta straccia di una millenaria tradizione agricola e imprenditoriale. E che dire dei biocarburanti che trasformano l’agricoltore padano in un manager dell’energia? In futuro avremo energia pulita a iosa, ma non ci sarà cibo a sufficienza per la popolazione. Quanto all’economia nazionale, la mancata crescita è da attribuire principalmente alle tasse troppo alte e il rimedio, che nessun politico si guarda dal mettere in pratica, consiste nel diminuirle in misura sensibile per tutti, basandosi su risorse liberate dal risparmio e dal rigore. In altre parole, il rilancio dell’economia italiana altro non è che una profonda opera di moralizzazione e per questo stenta a decollare tra vane parole.L’elenco delle cose “storte”, che marcano da tempo immemorabile la società e l’economia, è molto lungo, ma l’esperienza della Costa Concordia dimostra che abbiamo risorse ed energie adeguate per raddrizzare l’intero Paese. Se le idee sono chiare e gli intenti onesti, il successo non mancherà.
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