Europa, una strategia mediocre

Notizie poco incoraggianti da Bruxelles per gli imprenditori agricoli e per i consumatori italiani. Da quasi tre anni la Comunità Europea sta discutendo per definire la nuova Politica Agricola Comunitaria, la Pac, ma quello che emerge è a tutti gli effetti una ‘strategia mediocre’. Ci si limita, infatti, a cercare un denominatore comune tra le esigenze delle singole agricolture nazionali, senza individuare scelte unitarie in grado di orientare l’agricoltura europea nel suo insieme.Su questa strada il nostro Paese è perdente.Negli ultimi due anni abbiamo cambiato ben cinque Ministri alle Risorse Agricole, mentre le Organizzazioni di settore sono rimaste divise sulle scelte da indicare in maniera unitaria al Governo europeo.Ecco perché altri Paesi della Comunità, più attivi a Bruxelles, sono riusciti a creare le premesse per una Pac più vicina alle loro che alle nostre esigenze.Ma quale Politica Agricola sta emergendo?Nell’intento di preservare il potenziale produttivo dell’Europa si sta puntando sulla produttività delle aziende, incentivando l’innovazione, sostenendo l’agricoltura nelle ‘zone fragili’ e cercando di rilanciare l’occupazione giovanile.L’obbiettivo di fondo è di assicurare al Vecchio Continente l’autonomia alimentare senza dover dipendere dai mercati esteri e dalla speculazione dei vari operatori che finiscono col condizionare negativamente i prezzi al consumo.Ricordo a questo proposito quanto accaduto nel nostro Paese per quanto concerne lo zucchero.Poiché quello ricavato dalle bietole – valutato all’epoca 600 dollari alla tonnellata – non era concorrenziale con lo zucchero da canna, valutato 400 dollari, si è proceduto allo smantellamento del settore.Decisione infelice: oggi lo zucchero da canna costa sul mercato 900 dollari alla tonnellata ed il nostro Paese, privo di operatori alternativi, oltre a dipendere dall’Estero vede aumentare costantemente il prezzo al consumo di questo bene primario.Cosa non funziona, però, nella Pac elaborata da Bruxelles?Anzitutto, i criteri per l’assegnazione dei contributi assicurati dalla Comunità alle imprese.Si sta tornando, infatti, al modello del ‘contributo per ettaro di terreno’, senza prendere in considerazione la qualità e la tipologia delle coltivazioni.Il nostro Paese con il 7 per cento di superficie agricola utilizzabile rischia di essere fortemente penalizzato pur contribuendo per quasi il 15 per cento al Prodotto Interno Lordo grazie ad una agricoltura efficiente e produttiva.Meglio sarebbe legare gli incentivi della Comunità alle produzioni effettive, una scelta che consentirebbe di contenere la volatilità dei mercati ed i prezzi al consumo, soprattutto in settori come le colture intensive e la zootecnia, fiore all’occhiello del Mady in Italy.Anche la scelta di Bruxelles di introdurre il cosiddetto ‘greening’, terreni destinati a verde, una riproposizione del vecchio ‘set aside’, non può certo favorire l’agricoltura italiana sottraendo altro terreno alla coltivazione dei prodotti primari.Che fare, allora?Cercare di intervenire sul Parlamento Europeo che ha l’ultima parola sulla Politica Agricola Comunitaria, modificando il Piano elaborato dal Governo Europeo.Le direttrici da seguire sono chiare e le stiamo indicando da tempo: meno burocrazia e più semplificazione; incentivazione della ricerca; interventi mirati più alla crescita delle aziende agricole che alla loro sopravvivenza; riequilibrio della filiera agricola, oggi troppo condizionata dalle necessità della distribuzione commerciale piuttosto che dalle esigenze di una produzione di qualità.Si tratta di strategie che non possono che far bene anche ai consumatori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA