Fare impresa per l’acqua e per i rifiuti

La vittoria dei “sì” al primo quesito referendario dello scorso giugno, ha significato, innanzitutto, la volontà chiara, condivisa e inequivocabile di un gran numero di cittadini di fermare la privatizzazione dell’acqua attraverso l’abrogazione del Decreto Ronchi nella parte (art. 23 bis) in cui imponeva l’affidamento ai privati della gestione del servizio idrico integrato.

Si è trattato di una grande battaglia di partecipazione e di democrazia – e infatti una larga maggioranza ha dimostrato, dopo lungo tempo, di continuare a credere nello strumento referendario e di non volersi fare scippare della possibilità di esprimersi, direttamente, su temi di interesse comune - ma è stata, soprattutto, una battaglia che, nel merito, seppur con gradi diversi di consapevolezza, ha dimostrato quanto intimamente radicata nella percezione e nel sentire diffuso sia, oggi, l’idea di “bene comune”.

Ecco allora il punto di (ri)partenza all’ indomani del successo referendario: la necessità di dare concretezza al tema dei beni comuni, di arricchire, tramite loro, l’agenda della politica e la riflessione di chi sostiene da sempre la loro priorità; la consapevolezza che il significato del referendum deve andare al di là della sua chiave di lettura più riduttiva – l’alternativa tra pubblico, privato o sistema misto nella gestione del sistema idrico – ma dovrebbe tendere, nei settori essenziali cui i beni comuni ineriscono, alla salvaguardia dell’interesse di tutti, fuori dal mercato.

E allora, si tratta di rilanciare, con forza, la proposta di iniziativa popolare, sostenuta dalle firme di ben quattrocentomila persone, per la “ripubblicizzazione dell’acqua” che giace dal luglio 2007 depositata alla Camera dei Deputati senza che nessun parlamentare abbia finora avuto il cuore, la coerenza, il coraggio, il rispetto per i tanti che si sono mobilitati, ora e allora, per attivare l’iter legislativo che consenta di portarne in aula il testo.

Ma non possiamo fermarci qui: l’esito del primo quesito referendario non riguarda solo la disciplina del servizio idrico ma ha fatto venire meno l’obbligo alla privatizzazione – nella misura minima del 40% - riferita a ogni servizio pubblico locale, non solo acqua dunque, ma anche rifiuti e trasporti.

Sulla pagine dei giornali, locali e nazionali, e nelle cronache attente a rilevare business là dove di business non dovrebbe esserci traccia, da mesi ormai, si moltiplicano gli esempi, le testimonianze, gli interventi, le denunce tese a lanciare l’allarme delle infiltrazioni mafiose nella gestione dei rifiuti, degli accertamenti e delle indagini da parte della magistratura, delle gare d’appalto fatte al massimo ribasso e dell’impossibilità di controllo, da parte delle amministrazioni locali, nei confronti di privati che, spesso, risultano, quando va bene, semplici “avventurieri” altrimenti pericolosi faccendieri.

Anche il Lodigiano non è stato immune da tutto ciò e, infatti, da qualche mese, i nostri amministratori stanno ragionando sulla creazione di una società provinciale per la gestione e la raccolta dei rifiuti: tra i promotori di questo percorso il Comune di Sant’ Angelo Lodigiano che, a seguito della vicenda “Italia 90” e della revoca dell’appalto in corso, ha rivolto, in questa direzione, una proposta a tutte le amministrazioni della Provincia. Lodi, insieme ad altri comuni del territorio, non ha lasciato cadere l’invito e ha posto all’ordine del giorno del consiglio comunale che si terrà il prossimo 22 luglio l’adesione alla Società – chiamata Sogir – e l’approvazione del suo modello gestionale.

Ma quale modello gestionale? Un modello che, al momento della formulazione della proposta, pareva l’unico possibile – proprietà pubblica al 60% e privata per la parte residua come imposto dal Decredo Ronchi – ma che ora può essere rivisto, proprio in forza dell’esito referendario che ha abolito l’obbligo, seppur parziale, alla privatizzazione. E allora, visto che il contesto in cui i nostri amministratori si trovano ad operare è indubbiamente mutato, perché non dare vita ad una società completamente pubblica, sul modello di SAL, la società che sul territorio provinciale gestisce il ciclo idrico integrato? Gli amministratori locali, in primis il Presidente della Provincia Pietro Foroni, hanno sempre difeso l’operato di SAL e la sua capacità di “fare impresa” in modo efficiente, efficace, condiviso e nell’interesse di tutti, come risulta anche dall’ ultimo bilancio approvato.

Perché dovrebbe essere impossibile replicare l’esperienza nel campo dei rifiuti se tutto ciò è, oggi, possibile “per legge”?

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