Farsi il pieno di meritocrazia

La nostra immagine è a pezzi. Non per la sentenza di assoluzione di Amanda Knox e Raffaele Sollecito e per l’uso spettacolare che ne hanno fatto i media americani. Chi lavora o ha rapporti con l’estero sa di ben altre profonde umiliazioni riservate al nostro Paese. I nostri sono tempi diversi (peggiori) rispetto a quelli passati, tempi per di più destinati a peggiorare. Da Esiodo in poi, lo ripetono ad ogni generazione gli scrittori. È vero che i letterati non sono dei veggenti, ma se lo dicono in tanti ci sarà pure un fondo di verità. Io stesso avrei argomenti per lamentare scadimenti di tono, cali di livello, cadute di gusto. “Tu da che parte stai?”, è la domanda più frequente che mi rivolgono quando si parla di politica, anziché “Tu che cosa pensi?”. La politica è dunque anche un problema linguistico. Fare i conti con le parole in ogni caso e meglio che fare i conti con lo Stato, le banche, le grandi imprese, l’evasione. Nei bilanci pubblici e privati coabitano coatti gli opposti della retorica finanziaria, che ha spinto i privati cittadini a consumare derivati.

Intanto nel linguaggio politico corrente è entrato un nuovo termine, che tanto nuovo non lo è: meritocrazia. I depositari del merito – la classe dirigente - ce la stanno mettendo tutta per affermarlo. A spese naturalmente dei poveri cristi. Ce lo condiscono ogni giorno in tutte le salse: senza merito una società non progredisce, anzi degenera, si guasta, incancrenisce. Alcuni ministri sembrano intenzionati a costruire sul merito un nuovo rinascimento, cambiare il paradigma culturale, ridefinire i confini tradizionali. Tutto, nella loro retorica ufficiale, è ricondotto (tranne che in politica) al merito: al merito nell’insegnamento, nell’Università, nella burocrazia, nelle aziende, in campo scientifico, nella ricerca, nella specializzazione, nell’innovazione, nella tecnologia, nel riconciliare la cultura tecnica con la cultura artistica. Quasi - per fare sintesi - che del merito in queste aree non ci sia traccia, non vada solo riconosciuto, valorizzato, incentivato.

Un atteggiamento che denota come il “merito” sia un termine “sfuggevole”. A seconda di chi lo usa può nascondere una dose di ambiguità. Come tante altre parole non è neutrale. Perciò andrebbe impiegato con prudenza, avendo chiare le sue nascoste implicazioni. Senza scomodare Michel Young, (L’avvento della meritocrazia, in italiano nelle edizioni di Comunità, 1962), alcuni, infatti, se ne servono gratuitamente per mettere in gioco altri concetti come uguaglianza o la sfera dei diritti.

Il merito è senz’altro generatore di valori e di senso. La crisi di efficienza, di legalità, di giustizia, di libertà che ha corrotto il nostro tessuto connettivo, il paesaggio umano ha bisogno di coniugare eguaglianza e libertà all’insegna del merito. Ma per dare un colpo di frusta allo strapotere dei gruppi politici, delle corporazioni, delle lobby, delle camarille. Questa è però solo una aspirazione vagamente utopistica. Meglio rimanere ai fatti.

Luigi Zingales, Professor of Entrepreneurship and Finance alla Graduate School of Business dell’Università di Chicago, dove insegna dal 1992 e faculty research fellow del National Bureau of Economic Research (NBER), research fellow del Center for Economic Policy Research (CEPR) e fellow dello European Corporate Governance Institute, su Il Sole-24ore ha recentemente commentato quel che si intende da alcune parti per meritocrazia. “Tra tutti i criteri di promozione” dei dirigenti di una grande banca, che dovrebbero gestire il credito alle imprese, “non c’è la minima traccia di meritocrazia”. “Quali garanzie di stabilità – questo il succo dell’intervento del professor Zingales - offre una banca i cui dirigenti sono stati scelti per appartenenza politica?”. Il caso citato (Banca Popolare di Milano) non è un caso isolato. Uno studio di Confindustria ha rivelato che “l’80% dei manager italiani dichiara che la determinante più importante del successo finanziario è la conoscenza di “persone importanti”. Competenza ed esperienza arrivano quinte, dopo “lealtà ed obbedienza”.

Un sistema bancario che “ non premia il merito”, ci dice perché nel nostro Paese le banche “si trovano in una profonda crisi finanziaria”, che a pagare sono tutti i cittadini, non solo quelli con conto corrente.

Come mai davanti a una tale denuncia nessuno dei depositari della meritocrazia ha fatto conoscere, sino ad oggi, le proprie considerazioni? La meritocrazia è materia che riguarda solo i postini, gli insegnanti, gli amministrativi, gli addetti alle catene di montaggio, gli infermieri, i portieri, le segretarie, i tecnici, i ricercatori ecc.?

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