Gli ultimi sei mesi di legislatura

La prossima settimana riparte il lavoro delle commissioni di Camera e Senato, per le sedute d’aula bisognerà attendere il 12 settembre. Ma ormai ci siamo. Con la ripresa dell’attività parlamentare inizia l’ultimo semestre di una legislatura che molte volte è sembrata sul punto di interrompersi anticipatamente e che invece ora si avvia alla conclusione naturale. Questo elemento di normalità istituzionale, in sé positivo, non deve però trarre in inganno. I problemi da affrontare restano enormi – in primo luogo quello della disoccupazione – mentre appuntamenti e scadenze sono pressanti, anche a guardare soltanto all’interno dei confini nazionali, operazione evidentemente artificiosa e accettabile solo per necessità di sintesi. In primo piano c’è la legge di bilancio, che rappresenta lo snodo cruciale di questo scorcio di legislatura. Legge di bilancio vuol dire interventi sul debito pubblico per evitare che scatti quella “clausola di salvaguardia” che prevede l’aumento automatico dell’Iva per ovviare agli scostamenti dai parametri europei – aumento che sarebbe letale per il sistema Paese – e vuol dire anche e soprattutto interventi contro la disoccupazione e contro le disuguaglianze sociali. La sessione di bilancio monopolizzerà l’attività del Parlamento in autunno, ma sarà preceduta da un passaggio obbligato estremamente ravvicinato. Si chiama Nota di aggiornamento al documento di economia e finanza, un atto del governo che rimodula sulla base degli ultimi dati le previsioni economico-finanziarie e gli obiettivi programmatici indicati in primavera. La Nota dev’essere presentata al Parlamento entro il 20 settembre (lo scorso anno, per la verità, fu licenziata dal consiglio dei ministri il 27) e la sua approvazione richiede la maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera. Al Senato trovare i 161 voti necessari non sarà impresa facile. E sì, perché nel frattempo il quadro politico è profondamente mutato, nel Paese è emerso un assetto a tre poli e in Parlamento i gruppi si sono scissi e moltiplicati. La prospettiva delle elezioni in primavera – con il sostanzioso anticipo della regionali siciliane il 5 novembre – rischia di condizionare, anzi, condiziona già da tempo le mosse delle forze politiche. Basti pensare a quanto è accaduto con la legge cosiddetta dello ius soli, bloccata – si spera temporaneamente – da pregiudiziali ideologiche e preoccupazioni demagogiche, e all’impasse della riforma elettorale, senza la quale andremo alle urne con un sistema che appare strutturalmente orientato all’ingovernabilità.

Il pericolo, insomma, è che questi ultimi sei mesi di legislatura, a partire dalla stessa legge di bilancio, siano stravolti da pulsioni elettoralistiche e di corto respiro. Tutto il contrario di quel che servirebbe al Paese. Certo, è irrealistico chiedere al governo e ai partiti, di maggioranza e di opposizione, di comportarsi come se le elezioni non fossero alle porte. Ma è doveroso pretendere da tutti, opinione pubblica compresa, un sussulto di senso di responsabilità per il futuro comune.

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