Foxconn è di nuovo al centro di polemiche. La famigerata fabbrica cinese, principale fornitrice di molti dei big dell’alta tecnologia, non sembra volerne sapere di adeguare le condizioni di lavoro al suo interno e torna a far parlare di sé per l’ultimo ricatto, in ordine di tempo, messo in atto: studenti d’ingegneria costretti ad “apprendistati” forzosi per ottenere la laurea. I riflettori sul più grande produttore di componenti elettrici ed elettronici si accendono nel 2009 a causa di una serie di suicidi che ha coinvolto i suoi dipendenti impegnati nella produzione di componentistica per l’iPad: tre suicidi di giovanissimi lavoratori (avevano tutti meno di 25 anni e uno di loro era appena 18enne), causati dallo stress provocato dalle condizioni di lavoro. I turni, massacranti che durano dalla mattina alla sera inoltrata, una sorta di addestramento militare e l’obbligo di firmare una specie di liberatoria che in caso di suicidio non consente la richiesta di risarcimenti da parte delle famiglie (emersi da un’inchiesta della Ong Sacom), mettono la Apple sul banco degli accusati. Il danno all’immagine per Cupertino, che fa del suo essere “cool” una delle sue principali chiavi di successo, è importante e Tim Cook, amministratore delegato di Apple, cerca di correre ai ripari: divulgate le liste dei suoi partner commerciali, la Mela s’iscrive a un’associazione per il commercio equo (la Fair Labor Association, la rete no profit che monitora le condizioni di lavoro in tutto il mondo e che è stata co-fondata dalla Nike). L’impegno è solenne, Apple promette di far rispettare “i più alti standard in materia di responsabilità sociale su tutta la sua catena di produzione”. Non è solo Apple a rimanere “vittima” dei metodi produttivi della Foxconn che, di fatto, fornisce quasi la totalità del mercato dell’high tech. Tra i clienti della Foxconn ci sono tutti i big dell’elettronica: Amazon, Apple, Dell, HP, Microsoft, Motorola, Nintendo, Nokia (solo per il mercato cinese), Samsung, Sony.La Foxconn ha impianti in mezzo mondo, ma sotto accusa sono quelli oltre la Grande Muraglia: ben 13 impianti in nove città, dei quali il più importante è proprio quello di Shenzhen. “Foxconn City”, come è stata ribattezzata, è una vera e propria cittadella dove lavorano e vivono centinaia di migliaia di lavoratori (diverse fonti indicano tra i 230mila e i 450mila), in un campus di circa 3 kilometri quadrati. A settembre gli stabilimenti sono stati la location di una maxirissa che ha causato 11 feriti e 3 morti, la causa sembrerebbe essere stato uno scontro tra i lavoratori locali della regione dello Shandong e quelli migranti della regione di Guizhou: una vera e propria lotta tra bande che avrebbe coinvolto 300-400 persone, sotto l’effetto dei fumi dell’alcool per la “Festa di Mezz’autunno”. Un episodio in gran parte dovuto anche ad uno stabilimento che è una vera e propria cittadella del lavoro forzato, con 15 fabbriche, dormitori per i dipendenti, una piscina, una caserma dei pompieri, un network televisivo (Foxconn TV) e un centro commerciale completo di alimentari, banca, ristorante, libreria, e ospedale.Ancora più eclatante il caso della scorsa settimana. Migliaia di studenti d’ingegneria dell’Università della Tecnologia Xi’an impiegati alla catena di montaggio, spesso nei turni di notte e con massacranti straordinari, con uno stage formativo non retribuito e necessario al conseguimento della laurea. Turni di 11 ore, con due pause di 10 minuti per produrre la nuova PlayStation 4 della Sony. Scoppiato il caso tutti cercano di correre ai ripari: la Foxconn si difende chiarendo che gli studenti “possono andarsene quando vogliono”, mentre per l’università l’accordo è “del tutto legale” e “aiuta i giovani a conoscere la società e a fare esperienza”. Tentativi effimeri, come, d’altronde, quello di Sony che si limita a ricordare che tutti i suoi fornitori sono tenuti a rispettare il Codice di condotta approvato nel giugno 2005.
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