Che fosse un delinquente, un assassino per giunta, è un ritornello che ricorre con insistenza nel racconto dei vangeli. I testi sacri non spendono una parola per alleggerire il suo fascicolo processuale, e nemmeno concedono le attenuanti generiche. Così Marco, introducendo la figura di Barabba, adombra una rivolta avvenuta tempo addietro, nella quale il malfattore si rese protagonista di un omicidio. Per quel reato verrà imprigionato dalle milizie romane. Ed ora se ne sta sul balcone con di fianco quell’altro uomo, che per lui è probabilmente uno sconosciuto. Troppo lontani i loro mondi: qualcuno spiega che nel confronto tra Gesù e Barabba è velato il contraddittorio tra il pacifismo del predicatore di Nazareth, e l’altra forma di messianismo, di natura ferocemente violenta, che trovava nel sovversivo la sua personificazione. Così davanti a Pilato i due sono in corto circuito.La scena è stata magicamente riprodotta dal pittore Antonio Ciseri: un quadro monumentale che molti sicuramente ricordano, una fotografia che sembra scattata da dietro, dall’interno cupo della corte pretoria di Gerusalemme. Sul fondo della scena, avvolta nella luce di un bagliore mediorientale, appena si intravede la sagoma della piazza e dei palazzi vicini. Però c’è qualcosa di fatato: perché nel dipinto sembra quasi di sentirla la gente che si sbraccia e che urla. Di spalle il procuratore gesticola e si espone, senza riuscire ad ottenere il risultato che sperava.Pilato non è stato in quel caso un buon giocatore di scacchi. Voleva sbarazzarsi di un fastidioso inquilino delle carceri romane, e nel contempo salvare Gesù, solo che ha fatto male i suoi conti. Lui, politico navigato, abituato a destreggiarsi in acque molto più tempestose di quelle che si erano agitate in quella mattina che precedeva la Pasqua, aduso agli intrighi e ai calcoli bizantini, ora invece si ritrova con le spalle al muro. La città gli si rivolta contro, e così il profeta di Nazareth va a morire. Conclusa quell’asta di piazza, Barabba svanisce: di lui non si sa praticamente più nulla. Qualcuno sostiene che non sia nemmeno un personaggio della passione: non proferisce una parola, non muove un muscolo, non entra in alcuna diatriba. Di lui si parla come se fosse il piatto contrapposto di una bilancia che ora, nel momento del giudizio, pende tutta a sfavore di Gesù. Però, raffigurato in questo modo sfumato, si può ancora dire che sia un personaggio che calca la scena?È vero: Barabba entra in punta di piedi nella storia di Gesù, e in tutta fretta scompare. Però la sua ombra non smetterà di allungarsi nel mondo dei poeti, dei santi e dei letterati. La descrizione più bella appartiene forse allo scrittore svedese Par Lagerkvist, premio Nobel per la letteratura, che nel 1950 pubblica il romanzo “Barabbas”. In quelle pagine farà diventare questo criminale sopravvissuto alla più celebre cernita della storia il simbolo di ogni uomo in ricerca. Barabba la fa franca, e si salva. Ma da quell’istante in avanti dovrà fare i conti con la sua storia: il rovello di essere sopravvissuto solo perché un altro condannato è morto al suo posto. Nel romanzo la storia di Barabba si concluderà con una nuova crocifissione, segno di un destino che non è riuscito a sfuggire proprio del tutto, e con un grido che si scaglia non si sa più a chi, se alle tenebre o verso un Dio che lo attende: “A te raccomando l’anima mia”. Assomiglia stranamente ad una delle preghiere dei nostri vecchi, segno di un itinerario che forse si è finalmente concluso. Ma c’è dell’altro nella storia di Barabba. Non è vero che tutti siamo stati salvati per mezzo della croce: a qualcuno il prodigio è riuscito molto prima. Appunto a lui, disgraziato criminale, annoverato tra i vivi dopo quella roulette russa che Pilato ha inopinatamente fatto giostrare nella corte pretoria. Gesù non è il santo venuto a redimere i santi: non ne avevano bisogno. Non è nemmeno il Dio che predica perché attende la nostra capitolazione: l’istante di grazia in cui finalmente facciamo riemergere la sua immagine dal nostro impasto di tenebra. Il nostro Dio è inoffensivo, incapace di pretendere, inadatto quando si devono pestare i piedi. Non muore per peccatori in via di redenzione, bensì muore per i peccatori punto e basta. Ogni uomo che ha sbagliato, se solo si mette in ricerca, un giorno o l’altro scopre che sull’altro piatto della bilancia vi è un Dio che ha scelto di far da contrappeso. La croce è il tormento di tutti; e ad un Dio così si può anche cedere.È stata forse anche la tortura di quello scrittore svedese, rimasto per tutta la vita in sospeso, come un moderno Barabba: non si liberò mai dalla tentazione di cedere e di abbracciare la fede. La balbettò per tutta una vita, come quella domanda che risuona in una sua celebre poesia: “Chi sei Tu che colmi il mio cuore della tua assenza?”. Lontano da Dio, ogni Barabba di questo mondo nutre sempre nostalgia della grazia. E di un Gesù che al compimento della redenzione si è anzitutto preoccupato di salvare non un Matteo, non uno Zaccheo, e nemmeno una Maddalena: piccoli eroi di un riscatto che a tutti può riuscire. Salvò invece uno che stava molto peggio. In quel mattino di vigilia, a cento passi dal patibolo, nella lista dei sopravvissuti Dio cancellò il proprio nome, e mise al suo posto quello di un uomo sbagliato.
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