In Italia c’è un’emergenza silenziosa che riguarda i giovani e che costa al nostro Paese circa 36 miliardi di euro, oltre il 2% del Pil nazionale. È quella dei Neet (Not in education, employment or training), la generazione più colpita dalla crisi, che non studia e non lavora, rinunciando a intraprendere qualsiasi percorso di istruzione o formazione. Quella italiana è una delle percentuali più elevate in Europa dopo la Grecia, stando ai dati di Eurofound e forniti dall’Istituto Toniolo, che ha organizzato a Milano il primo convegno nazionale sul fenomeno. Una percentuale, quella relativa ai giovani tra i 15 e i 29 anni, che nel nostro Paese è salita dal 19% del 2008 al 27% del 2014, mentre nell’Unione europea è passata nello stesso periodo dal 13% al 15,4%.“È un dato preoccupante – afferma Rita Bichi, docente di sociologia alla Cattolica di Milano e curatrice del Rapporto – che deriva dalla scarsa capacità di attivazione delle nuove generazioni nel mercato del lavoro e dalla inadeguata valorizzazione del loro capitale umano nel nostro sistema produttivo”.L’Italia, in particolare, si distingue tra i Paesi più avanzati per l’elevato tasso di abbandono degli studi (il 15% non va oltre la terza media contro l’11% della Ue) e per una bassa percentuale di laureati.Il problema è che a dispetto delle iniziative avviate negli ultimi due anni, come il piano “Garanzia Giovani”, i Neet pesano ancora in maniera forte sui bilanci del Paese. Il piano, infatti, tra i più importanti degli ultimi decenni a favore dell’occupazione giovanile finanziato dall’Unione Europea, sta ottenendo dei risultati ancora troppo modesti rispetto alle aspettative: partito da quasi due anni, “Garanzia Giovani” è riuscito a raggiungere finora solo un terzo dell’intera platea dei Neet.“Non siamo certo davanti a un insuccesso totale – spiega Walter Nanni, responsabile dell’ufficio Studi della Caritas italiana – ma è sicuramente ancora troppo poco per una vera svolta nelle politiche di attivazione delle nuove generazioni. Se il disagio sociale continua a crescere, è anche perché le istituzioni non fanno ancora abbastanza per queste categorie”. Una delle difficoltà maggiori di “Garanzia Giovani”, fa sapere l’istituto Toniolo, è quella di intercettare i Neet più scoraggiati, con bassa scolarizzazione e che sono da tanto tempo inattivi: sono coloro che più rischiano di diventare un costo sociale permanente. Inoltre, la carenza di orientamento porta molti ragazzi a prendere decisioni poco coerenti con le proprie attitudini e con gli obiettivi professionali.I dati dell’indagine “Rapporto giovani”, svolta ad ottobre di quest’anno su un campione rappresentativo di oltre 5000 giovani tra i 18 e i 34 anni, mostrano che, nella fascia considerata, meno del 20% dei Neet non sta cercando lavoro (14,5 tra i maschi e 23,3% tra le femmine), mentre oltre l’80% è interessato a un’occupazione anche se la cerca con vario impegno e convinzione. Scorrendo i dati del rapporto, emerge inoltre che la composizione di questa categoria è molto eterogenea. Si va infatti dal neolaureato con alta motivazione e alte potenzialità che sta cercando un lavoro in linea con le proprie aspettative (prima eventualmente di riallinearsi al ribasso con ciò che il mercato offre), fino al giovane uscito precocemente dagli studi e scivolato in una spirale di marginalità e demotivazione. Ma rientrano anche le persone che non hanno un impiego per scelta, perché vogliono prendersi tempo per esperienze di diverso tipo o per dedicarsi alla famiglia. In ogni caso, secondo i dati Eurofound, nella composizione dei Neet, in Italia è più bassa rispetto alla media europea la quota di chi ha problemi fisici, mentre è maggiore quella di chi è disoccupato di lunga durata e di chi è scoraggiato.Per contrastare il fenomeno, e tentare di arginare questa emergenza, la Fondazione Cariplo ha promosso recentemente in Lombardia una nuova iniziativa dal titolo “Neet-work”, dedicata a mille ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non lavorano. Il Progetto permetterà di offrire dei tirocini di 4-6 mesi nelle organizzazioni non profit ai giovani non diplomati, che non studiano e non lavorano o che sono disoccupati da almeno sei mesi. Si tratta di ragazzi, spiega la Fondazione, così sfiduciati che non spediscono neppure un curriculum. Tanto per capire: molti di loro sono stati rintracciati attraverso i social network o attraverso gli appelli delle mamme e delle nonne.
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