In questi ultimi tempi diversi organi di stampa hanno pubblicato notizie relative a studenti, singoli o in gruppo, premiati con borse di studio, riconoscimenti, attestazioni per particolari progetti scelti in quanto a originalità, creatività, valenza formativa. Un successo per i ragazzi e per i loro insegnanti. C’è da dire che quando si arriva a premiare i giovani di talento per delle iniziative di particolare rilievo o per un traguardo raggiunto, vuol dire che si è riconosciuto un certo merito. Vuol dire che qualcuno ha valutato un lavoro, sia esso manuale o intellettuale, dando un giusto riconoscimento a specifiche abilità utilizzate per trasformare le idee astratte in proposte concrete. Probabilmente sono, per gli studenti, i primi segnali, le prime avvisaglie di quello che un domani potrebbe essere un cammino lastricato di successi che potrebbe contribuire a una crescita personale e professionale. E’ questo il momento giusto non solo per incoraggiarli a venir fuori, a crescere in sicurezza e in autostima, a dare il massimo con entusiasmo e passione, ma anche a far provar loro la soddisfazione di vedersi premiati, di vedere la propria creazione, la propria idea passare l’esame critico, di uscire dall’anonimato per ritrovarsi catapultati sulle pagine dei giornali con tanto di titolo e didascalie su pensieri e opere che sarebbero altrimenti rimasti relegati nel cassetto. Per tanti è un sogno che diventa realtà. Bisogna far capire ai nostri giovani che la vita talvolta riserva loro delle occasioni da non perdere, ma, al contrario, da utilizzare e da far fruttificare. Bisogna far capire che nella vita nulla è lasciato al caso, ma tutto fa parte della propria storia. Eppure in tutto questo c’è qualcosa che non torna. Ovvero non sempre il merito trova l’attenzione di chi contribuisce, di fatto, a spianare la strada al successo. E allora una nuova idea si fa largo tra convinzioni e congetture. E’ l’idea del pressappochismo che considera variabili di poco conto sia l’impegno sia la serietà nel perseguire un obiettivo, tanto il successo è garantito da ben altre circostanze. E’ Friedrich August von Hayek, filosofo austriaco, uno dei maggiori esponenti del liberalismo, citato da Pietro Emanuele in una delle sue opere «I cento talleri di Kant», a mettere per inciso questo paradosso. Si legge, infatti, che: «E’ un vero dilemma decidere fino a che punto si deve incoraggiare nei giovani l’idea che quando si sforzano veramente riescono, o se non si debba piuttosto enfatizzare il fatto che inevitabilmente alcuni poco meritevoli avranno successo, mentre altri meritevoli falliranno». Una iattura per alcuni, un danno per altri. In realtà è una posizione pessimista che suscita perplessità giustappunto per il forte senso di ingiustizia che può generarsi nell’animo dei giovani. Parole che scoraggiano, che demotivano e demoralizzano anche i più avveduti, che possono alimentare il senso della ribellione, ma che possono suscitare anche quelle particolari e straordinarie reazioni che solo i giovani sanno manifestare. Qui parlo di giovani che vanno incoraggiati a non mollare, ad affrontare un mondo talvolta ostile che può essere battuto da una giusta dose culturale, ma anche dalla caparbietà, dalla convinzione che, in quanto protagonisti, si è pronti per tracciare una strada, un cammino in un mondo che si presenta diverso da quello che magari si è portati a sognare. Come si vede è un concetto che supera l’idea stessa di omologazione come un facile sistema di riconoscimento del merito. I talenti tra i ragazzi ci sono e vanno scovati, aiutati a emergere, sostenuti perché solo così sarà possibile far esplodere il meglio che ognuno si porta dentro. E’ vero, le ingiustizie sono quelle che più assillano l’animo giovanile fino a radicalizzarsi in forme estreme e sconsiderate di comportamenti autodistruttivi. E’ il caso di una studentessa di Rieti che non ha retto alla delusione per non aver superato il concorso per l’assegnazione di una borsa di studio negli Usa, trovando nel suicidio la risposta a un insuccesso. Non è così che si affrontano le delusioni che nella vita non mancano e mai mancheranno. E’ sempre bene far sapere ai ragazzi che nessuno mai metterà sotto i loro piedi un tappeto rosso su cui invitarli a camminare impettiti e tronfi. Nella vita subire ingiustizie è più facile che godere dei favori della giustizia. Anzi. Spesso si avrà occasione di assaggiare l’amaro calice delle scaltrezze altrui messe in campo a dispetto di qualsiasi moralità pur di perseguire progetti o interessi. E’ la cultura dominante di oggi che può trovare un nefasto riscontro solo nell’antica cultura spartana. Pare, infatti, che presso gli Spartani i ladri venivano condannati non per il reato commesso, ma per essere stati talmente stupidi da farsi beccare in flagranza di reato. Il messaggio che, invece, deve arrivare ai nostri giovani è uno solo. Tanto di cappello ai nostri giovani che vincono borse di studio, che si affermano in concorsi, gare, competizioni, che mettono a frutto il proprio talento nei diversi campi dove possano emergere abilità linguistiche, intellettive, manipolative, scientifiche, culturali, sportive al punto da riuscire, senza fatica, a trasmettere entusiasmo, emozioni e voglia di fare. Ragazzi che non si fanno beffare dalle avverse circostanze, che sanno cogliere al volo le occasioni, che dimostrano di gestire in modo determinato gli esiti delle scelte messe in campo. In ultima analisi ragazzi che probabilmente sanno ben gestire l’equilibrio tra intelletto e volontà, tra ciò che pensano e ciò che vogliono nella vita senza cadere nella trappola dell’incertezza. La stessa che giocò uno brutto tiro all’asino nell’apologo di Giovanni Buridano. E’ la storia di un asino che non sapendo scegliere tra due fasci di fieno collocati uno alla sua destra, l’altro alla sua sinistra, a furia di vivere nell’incertezza su quale dei due buttarsi a capofitto, finisce col morire di fame. I nostri ragazzi, invece, che spesso la stampa presenta come vincitori meritevoli, sanno benissimo dove andare, cosa fare, dove cercare. Dobbiamo essere fieri di questi ragazzi senza stancarci di ricordare loro che il successo arriva per merito più che per grazia ricevuta.
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