Taranto vittima di una doppia beffa: oltre ad essere inconfutabilmente la città più inquinata d’Italia, rischia ora di divenire quella più invisa agli operai del Paese. Fanno male i titoli di alcuni quotidiani nazionali che attaccano la magistratura locale, che, lo ricordiamo, non sta facendo altro che il proprio dovere e che ha avuto il merito di sollevare il coperchio che impediva alla verità di emergere, e che individuano nei sequestri disposti dai giudici tarantini la responsabilità di aver costretto la famiglia Riva a chiudere alcuni stabilimenti del Nord e a mettere in mobilità circa 1.400 dipendenti. Fanno ancor più male le dichiarazioni di alcune personalità politiche che hanno avuto in passato incarichi di governo, che avrebbero consentito loro d’intraprendere azioni volte a promuovere un percorso di ambientalizzazione dello stabilimento e, non avendolo fatto, ora si scagliano contro i provvedimenti partiti dal Palazzo di Giustizia tarantino solo perché a essere coinvolte sono aziende che ricadono nel loro bacino elettorale. E ancor di più fa male la mancata solidarietà degli operai e dei Comuni cittadini settentrionali ai quali poco importa, a quanto pare, delle condizioni di vita a Taranto, città “strategica per la nazione” costi quel che costi, purché i costi si paghino solo qui.Poco è loro importato, sinora, che a Taranto si morisse di lavoro e inquinamento. Occorre fare chiarezza e dire che non è in atto nessuna congiura giudiziaria contro il gruppo Riva Fire, nei confronti del quale il Gip Patrizia Todisco ha disposto un sequestro di 8,1 miliardi di euro frutto dell’illecito risparmio della famiglia Riva a discapito dell’adeguamento ambientale e della messa in sicurezza degli impianti a partire dal 1995, anno in cui l’allora statale Italsider passò nelle mani dei Riva. Il sequestro, come ha con fermezza precisato il procuratore capo Franco Sebastio, riguarda beni immobili, partecipazioni societarie, quote azionarie, impianti, macchinari, automezzi e, in minima parte, disponibilità finanziarie di cui il gruppo era a conoscenza da mesi. Il reato ascritto alla famiglia avrebbe consentito al Gip l’interdizione dell’attività produttiva, ma ha disposto solo la confisca del profitto. Ad oggi sono circa 2 i miliardi sottratti ai Riva rispetto agli 8 dovuti e appare difficile reperire quelli che ancora mancano. Le Fiamme Gialle, dopo aver rinvenuto in paradisi fiscali un miliardo di euro riconducibili alla famiglia su conti esteri, hanno eseguito un sequestro di un ulteriore miliardo di euro a tredici società del gruppo. Appare, quindi, una ritorsione la scelta dei Riva di mettere in mobilità 1.400 operai di stabilimenti in attivo.Ci auguriamo che il Governo non ceda al ricatto di una proprietà che stenta a invertire la rotta seguita sino ad oggi e che tanti danni ha provocato ai cittadini dell’intera provincia ionica.
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