L’iniziativa promossa dall’eurodeputato tedesco popolare Andreas Schwab e da altri 14 colleghi di Strasburgo ha scatenato un caso politico e mediatico: la risoluzione che, tra l’altro, chiede la separazione tra le attività di base dei motori di ricerca e il loro sfruttamento commerciale, non ha nomi e cognomi, ma tutti i riflettori sono puntati su Google. Tutto ha avuto inizio lo scorso 24 novembre, quando Schwab e colleghi hanno presentato una risoluzione “per sostenere i diritti digitali dei consumatori nel mercato unico”. La proposta muove dalla considerazione che il nuovo mercato digitale “porta non solo vantaggi economici, ma ha anche un profondo impatto sulla vita politica, sociale e culturale quotidiana dei consumatori e dei cittadini dell’Unione europea”. Per questo motivo gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione “di far rispettare le regole di concorrenza comunitarie con decisione, sulla base di input da tutte le parti interessate e tenendo conto l’intera struttura del mercato unico digitale, al fine di garantire rimedi che veramente portino benefici ai consumatori, gli utenti di Internet e le imprese on-line”. Una richiesta di impegno condivisibile che nel proseguo della risoluzione è ancora più esplicita: la Commissione dovrebbe “prendere in considerazione le proposte che abbiano l’obiettivo di separare dai motori di ricerca gli altri servizi commerciali”. Le ragioni sono molto chiare per i proponenti: “quando si utilizzano i motori di ricerca, il processo di ricerca ed i risultati dovrebbero essere imparziali, al fine di mantenere la ricerca internet non discriminatoria, garantire una maggiore concorrenza e scelta per gli utenti ed i consumatori, mantenere la diversità delle fonti di informazione”. Nessun esplicito riferimento a Google, ma è chiara l’allusione a Mountain View che è ancora invischiata in un procedimento con l’Antitrust europeo (partita ormai nel lontano 2010), che ha acceso un riflettore proprio sulle policy di gestione dei risultati del motore di ricerca ed il connesso advertising, che prevedrebbero l’utilizzo di filtri per penalizzare alcuni risultati di ricerca, mettendoli troppo in basso in pagina o rimuovendoli del tutto.Dure e bipartisan le reazioni da oltreoceano: Repubblicani e Democratici del Senato e della Camera, in una lettera congiunta inviata al Financial Times, scrivono che “le proposte che sembrano prendere di mira le aziende tecnologiche americane” sollevano dubbi “sull’impegno dell’Ue verso un mercato aperto”. “Simili proposte - scrivono da Washington - erigono muri anziché ponti e non sembrano considerare l’effetto negativo che tali politiche potrebbero avere sulla più ampia relazione commerciale tra Usa e Ue”. Una minaccia neanche troppo velata ribadita da Ed Black, direttore della Computer and Communications Industry Association (l’associazione che raccoglie l’industria high tech a stelle e strisce), che la proposta dell’Europarlamento si allontana dai “solidi principi legali ed economici, minando la credibilità dei suoi politici e la legittimità delle sue azioni antitrust”.La plenaria del Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la risoluzione presentata da popolari e socialisti (384 favorevoli contro 174 contrati, e 56 astenuti), il testo anche se non vincolante per la Commissione apre un fronte che non tarderà ad infuocarsi e il dibattito assumerà una rilevanza politica sempre maggiore.
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