Cos’hanno cambiato le recenti consultazioni e ballottaggi? Ci hanno liberato dalle ingessature ideologiche, dalle illusioni? In parte, forse. Hanno ri-orientato la direzione, le prospettive, tolto di mezzo le mediocrità individuali? Si può pensarlo. Ci hanno affrancati dai toni di certa politica? Volesse il cielo! Dopo gli esiti di una consultazione sono sempre molte le materie e I temi che ingrossano il glossario delle analisi e delle valutazioni.
Le analisi servono a capire. Gli sconfitti dicono sempre (o quasi) che “ora bisogna ragionare sul dato”, che è la più bolsa delle autoconsolazioni, piuttosto mediocre, un messaggio che anticipa spesso l’intenzione di addossare ad altri ( sempre della propria parte politica) torti o presunti tali.
Sul dato delle consultazioni dovrebbero riflettere non solo coloro che hanno subito drammatici arretramenti, pure i vittoriosi, che hanno ragione di esultare (ci mancherebbe!) ma anche il dovere di capire come tradurre concretamente le spinte nascoste nel cambiamento sollecitato dagli elettori.
Negli esiti elettorali non c’è mai nulla di miracolistico: c’è sempre chi è premiato e chi è punito; chi ha perso e chi ha perso più di altri; chi non è riuscito a sfondare (come si usa dire in politichese) e chi ha sfruttato le proprie capacità per sfondare; chi ha mostrato convinzione senza troppi distinguo e chi ha fatto la ruota di scorta; chi ha avuto carattere e scommesso su cose realistiche o anche su quelle che rappresentano un emblema e chi ha messo tutto l’impegno nel trasformare la scelta su una verifica su se stesso.
Le sconfitte sono sempre da curare, i successi sono sempre da gestire. Le une e gli altri richiedono chiarezza senza equivoci. Compito difficile, che vuole etica più che metodo, capacità di spiegare le proprie scelte al pubblico. Anche la comunicazione politica deve essere materia di accertamento e di disamina.
La comunicazione non ha nulla di “sorprendente”, se non l’inganno che mette nei messaggi. Inutile attribuirgli poteri “prodigiosi”, c’è comunicazione e comunicazione. Mentre la comunicazione pubblicitaria è regolamentata, quella politica non lo è. Nel livello di manipolazione si afferma e distingue uno stile.
Nella recente competizione, finita come tutti sanno, ci sono aspetti che richiedono una diagnostica. In primo luogo un’ indagine della sconsiderata caduta verticale del linguaggio politico, che ha trasformato le amministrative in un test totalmente diverso e prodotto una identificazione disperata tra linguaggio politico e pubblicità commerciale.
È una questione importante, un punto scabroso che va affrontato.
Negli ultimi tempi è apparso sempre più evidente il precipitare della comunicazione politica nel banale e nella rissa, forse in conseguenza del precipitare della politica nella società. Questa constatazione rende la questione cruciale per tutti, non solo per gli addetti ai lavori.
Non basta invocare una “nuova” comunicazione o “nuovi” messaggi. Serve un impegno a liberarla delle scorie della autoreferenzialità politica e dell’ottimismo di maniera: veri nemici dell’informazione democratica, della verità e del cambiamento.
Chiamarsi fuori non basta. Sarà consolatorio riconoscere che la comunicazione politica non ha mai espresso esemplari comunicatori (anche se non è proprio vero). L’alibi potrà essere eccellente, non da togliere di mezzo le pessime figure.
Certo, la classe politica non eccelle. Il livello del confronto conosce spesso argomentazioni personalistiche e manifestazioni incivili. Non sempre gli attori mostrano forza e fantasia nel recuperare i bandoli delle loro matasse. All’agorà si preferiscono i ballatoi degli angiporti.
Nelle recenti elezioni (e ballottaggi) il cittadino ha trovato difficoltà a distinguere i messaggi. Tranne lodevoli eccezioni è stato per lui ancor più difficoltoso discernere cosa volessero i candidati oltre al puntare all’elezione. Slogan, proposte, luoghi comuni, frasi fatte, buon senso da mercato rionale, tecnica del ritrattarsi e disdirsi ecc. hanno punteggiato i loro discorsi. Spesso con l’aggiunta di vere cadute di stile.
Più che per affermare l’idea di città migliori o diverse ci si è mossi su una linea grigia fatta di personalizzazioni, annunci, promesse, assicurazioni, “anti”. I progetti, là dove c’erano, sono rimasti più sullo sfondo, timorosi di affrontare la “verifica” degli elettori. Ma la città, ogni città, i comuni piccoli e grandi sono realtà viventi che crescono e si sviluppano sulla soluzione dei problemi e su un’idea di futuro condivisa e realizzata giorno dopo giorno. E’ questo il vero fattore che peserà su chi è stato chiamato ad amministrare.
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