Anche quest’anno la celebrazione del 2 giugno si è svolta all’insegna della sobrietà e della semplicità, connotazione questa fortemente voluta dal Presidente Napolitano per un senso di doveroso rispetto a quelle fasce di popolazione che vivono un momento di grave difficoltà e di profondo disagio per effetto della crisi economica che attraversa il Paese. Introduco così un elemento di strettissima attualità.La crisi economica e finanziaria ha investito, ormai da diversi anni, in diversa misura, tutti i settori della nostra società, determinando una pesante contrazione della produzione e dei consumi, e producendo ripercussioni negative sul fonte occupazionale che ha imposto, tra l’altro, la necessità del ricorso frequente allo strumento degli ammortizzatori sociali.E’ una crisi che, in particolare hanno avvertito sulla loro pelle tanti lavoratori e piccoli – medi imprenditori i quali, in casi sempre più ricorrenti, nell’incertezza di punti di riferimento e di prospettive future, sono giunti a compiere anche gesti estremi. Ma se è vero che ogni Paese ed ogni comunità trova nel proprio passato e nella propria storia le risorse e le motivazioni per superare i momenti di crisi, allora la Festa della Repubblica, nel suo significato più pregnante deve essere il luogo e l’occasione per trovare nuovi stimoli e fiducia rispetto alla nostra capacità di affrontare e superare le difficoltà presenti e future. L’Italia sta attraversando la più grave recessione della sua storia; la crisi globale iniziata nel 2007-2008, originata lontano da noi, ha colpito l’economia italiana più pesantemente di molti altri paesi avanzati. Fra il 2008 e la fine del 2012, in Italia il Prodotto Interno Lordo è sceso di quasi il 6%, mentre in Francia è rimasto stazionario e in Germania è aumentato, nel medesimo periodo, di quasi due punti percentuali. Il reddito disponibile delle famiglie, al netto dell’inflazione, in termini pro-capite, è tornato ai livelli di venti anni fa. Pur in presenza in questo territorio di una tenace intraprendenza imprenditoriale e di una caparbia volontà di reagire alla crisi, diverse aziende, soprattutto piccole e medie, hanno registrato difficoltà ed a rischio per tanti è la stessa occupazione. E’ di fondamentale importanza, quindi, in questo particolare momento storico affrontare la principale emergenza derivante dalla crisi, che non può essere che quella del lavoro. Appare evidente che il fenomeno della disoccupazione mette a dura prova la serenità di moltissimi italiani. La cronaca quasi quotidiana ce ne dà una prova. Molto c’è ancora da fare per salvaguardare forze preziose, soprattutto nelle aziende in difficoltà, nella consapevolezza che solo individuando le iniziative più idonee, volte a fronteggiare in maniera tempestiva ed efficace una così critica situazione, è possibile conciliare gli obiettivi di crescita economica con quelle della coesione sociale. Da questo punto di vista appare confortante che il nuovo Governo, espressione di un ritrovato spirito di coesione nazionale, abbia posto, tra gli obiettivi più immediati della politica economico-sociale, il tema del lavoro e della crescita economica. La questione del lavoro - ha detto nel suo discorso programmatico alla Camera, il Presidente Letta - “è la più grande tragedia di questi tempi” ribadendo che essa “è e sarà la prima priorità del Governo”.Solo con il lavoro – ha continuato il Presidente Letta – si può uscire da quest’incubo di impoverimento ed imboccare la via di una crescita non fine a se stessa, ma volta a superare le ingiustizie e riportare dignità e benessere. Agevolare ad ogni costo l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro è una delle questioni principali che il nuovo Esecutivo si accinge ad affrontare, attraverso facilitazioni alle imprese che assumono o altre misure incentivanti l’occupazione giovanile. Importante il ruolo e la responsabilità della politica nella ricerca dei modi per uscire da questa drammatica situazione. Ma altrettanto importante e decisivo è il ruolo delle forze sociali direttamente impegnate nel mondo del lavoro, imprese e sindacati. E’ auspicabile che le parti sociali, portatori di interessi a volte non facilmente conciliabili, possano trovare in uno spirito di forte collaborazione, soluzioni condivise per il rilancio e la ripresa dell’attività produttiva e del lavoro. In estrema sintesi, dobbiamo riscoprire necessariamente quelle motivazioni che hanno animato i nostri padri costituenti, i quali ci hanno consegnato una Costituzione che continua ad essere la nostra bussola, la guida del nostro agire pubblico e sociale, superando, in quell’occasione, nella dialettica e nel confronto, i particolarismi e le tentazioni di divisione. Il 2 giugno del 1946 rappresenta infatti il momento nel quale il popolo italiano, con il voto referendario, rifondò, nella scelta della Repubblica democratica, l’unità della nazione italiana. Quella scelta e quella rifondazione avvenivano sulle macerie, fisiche e morali, che erano state il risultato e il lascito della guerra mondiale e del ventennio fascista. Quella scelta tuttavia, nel negare il recente passato, si ricollegava consapevolmente alla più gloriosa storia unitaria nazionale, al punto che si volle considerare la resistenza come un secondo Risorgimento. Il Presidente Napolitano, con particolar forza nelle celebrazioni del centocinquantenario, ha sempre insistito, nei suoi interventi, su questo filo rosso che collega tra di loro i tre momenti del Risorgimento, della Resistenza e della Costituzione repubblicana. Il voto del 2 giugno del 1946 non solo costituì la base per la fondazione della nuova repubblica democratica e costituzionale, ma costituì anche la premessa per la ricostruzione economica, civile e culturale, del nuovo stato, che trovò, a breve, la sua realizzazione in quello che fu a ragione definito il miracolo economico degli anni cinquanta-sessanta. Un miracolo che fu possibile grazie all’operosità, ma anche all’ingegno, del popolo italiano. Cultura, lavoro e sviluppo, un trinomio che fu alla base dei successi di allora, e che portò in breve tempo un Paese stremato dalla guerra a diventare uno degli Stati fondatori dell’Europa e ad entrare nel novero dei paesi più industrializzati del mondo. Un trinomio che deve ridiventare attuale. Rinsaldare, quindi, lo stretto legame che esiste fra innovazione, cultura e ricerca, come elementi che insieme creano occupazione e producono progresso e che consentono di trovare, proprio nell’esempio che la nazione italiana seppe dare nel momento della sua fondazione repubblicana, la forza e la fiducia per affrontare le sfide altrettanto drammatiche del presente, stabilendo così un preciso collegamento tra il nostro secondo dopoguerra e la situazione attuale. Anche questa è una riflessione che toglie alle celebrazioni di oggi, qualsiasi carattere di ritualità e costituisce contributo e stimolo per un rinnovato e non rinviabile impegno. Quindi, come ha sottolineato incisivamente il Presidente Napolitano, in questo particolare momento deve prevalere “il senso dell’interesse nazionale, il senso dello Stato, la volontà di cambiamento, nel grande scenario dell’Europa unita, per far crescere l’economia, dare futuro ai giovani e rendere più giusta una società troppo squilibrata e iniqua”.
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