Si sa che nella vita non bisogna mai esagerare se non si vuole rischiare di perdere di credibilità. Questo vale anche se si tratta di scuola. A far riflettere sono due posizioni espresse, su due diversi quotidiani, da due genitori piuttosto preoccupati per l’avvenire dei propri figli. Da una parte un papà convinto assertore di una scuola che torni a selezionare, dall’altra una mamma che sogna una scuola che non deve bocciare. In mezzo i docenti che non sanno più a che scuola votarsi. Esaminiamo brevemente i contenuti delle due lettere. Un papà, piuttosto preoccupato, si lamenta del fatto che il figlio frequenta una scuola che a suo dire oramai fatica a dare risposte adeguate alle reali esigenze della società di oggi. Una scuola dove imperversa un accattivante «facilismo», dove i docenti sempre più spesso sono contestati da alunni e genitori, dove viene garantito un continuo assemblearismo, dove la tecnologia non trova riscontro in una sana pedagogia. In sostanza ci descrive una scuola che assolve al suo compito con molta difficoltà perché chiamata più ad animare, a intrattenere, a trasformarsi in autentico parcheggio, piuttosto che a dare contenuti, conoscenze e competenze. Le frecciate che partono sono di quelle che pungono e qualche volta fanno pure male. Su un altro quotidiano la mia attenzione è attratta dalla lettera di una mamma che, al contrario, parla di una scuola troppo severa, portata più a selezionare che a promuovere la crescita di un alunno; una scuola che non sa programmare, che non sa porre un argine ai fallimenti scolastici; una scuola che non sa capire i molteplici problemi propri di un disagio adolescenziale, che non sa motivare, che non sa valorizzare i ragazzi, che in fatto di valutazione si affida più ai numeri che alle considerazioni. Una scuola fatta di insegnanti che non hanno tempo da dedicare a chi rimane indietro, a chi ha bisogno di tempi più lunghi per apprendere; insegnanti che considerano sprecate le risorse utilizzate per i corsi di recupero, assillati dai programmi ministeriali. Si capisce che sono due visioni, due modi diversi di vedere e sentire la scuola. Ma allora mi chiedo: da che parte sta la verità? Dei due genitori chi ha ragione e chi ha torto? A sbagliare sono forse i professori che fanno selezione, che hanno la mano pesante nel dare i voti, che lamentano sempre lo scarso impegno nello studio, che invitano talvolta i genitori o gli stessi studenti a rivedere, «cum grano salis» (con un po’ di buon senso) le scelte fatte, oppure i professori che puntano su specifiche strategie didattiche e pedagogiche pur di fronte a particolari situazioni sociali, emotive o relazionali senza lasciarsi contagiare dal fattore tempo, dai programmi da ultimare, dalle interrogazioni, dai compiti in classe? Un confronto che talvolta si fa duro fino ad alimentare forti polemiche tanto da dare origine a preoccupanti tensioni. E’ il caso del Parini di Milano dove si sono confrontate due visioni completamente divergenti su come affrontare le situazioni pedagogiche nelle classi. Un confronto che è sfociato ben presto in pericolose polemiche tra docenti e genitori. Talvolta è il tono della voce a regolare il confronto, talvolta sono invece l’equilibrio, la pacatezza a condurre la persona verso una costruttiva mediazione. Le esagerazioni scompaiono e il dialogo, sia pur difficile, si fa più credibile. Come sempre in questi casi è bene sottolineare che mai una posizione può pretendere di emergere sull’altra. E’ vero, siamo di fronte a modelli opposti, ma sono dell’avviso che vi possa essere un punto di equilibrio tale da coniugare le esigenze di cambiamento con le aspettative in campo formativo. Del resto queste problematiche sono antiche come il mondo. Eraclito, per esempio, attaccato e osannato nello stesso tempo, parla di «armonia degli opposti», ovvero di tesi apparentemente contrastanti, ma che alimentano quella tensione positiva che consente di arrivare a una equilibrata conclusione. Bellissima la metafora a cui ricorre il filosofo efesino per dare forza a questo concetto. L’arco e la corda sia pure in una tensione di contrasto (l’uno si curva dalla parte opposta all’altra) garantiscono lo scoccare della freccia. Senza questa tensione alimentata da una spinta contrapposta, non può esserci armonia del risultato (e poi dicono che è criptico). Se invece di selezione o di severità si parlasse di serietà nello studio, se invece di carenza pedagogica si accennasse a nuove strategie didattiche rafforzate da specifici percorsi laboratoriali, se invece di parcheggio si parlasse di maggior coinvolgimento, forse il discorso assumerebbe una diversa connotazione. E’ chiaro che un insegnante non può e non deve lasciare nessuno indietro. La scuola non ha tempi definiti, ma proposte pedagogiche da rendere flessibili in modo tale da garantire stesse opportunità per tutti e per ciascuno. Il percorso può apparire facile per alcuni, difficile per altri; coronato da successi per alcuni, costellato di insuccessi per altri. Scoprire le attitudini di ciascun alunno è compito del docente, mentre non disperdere le proprie energie vitali è compito dell’alunno. Un ottimo connubio che può aiutare a rendere credibile ciò che si vuole affermare, senza cadere, peraltro, in un pericoloso relativismo. E’ come cercare una via di mezzo che metta, chiunque, al riparo dalle assurdità, fino a rendere credibile la stessa contrapposizione. Facile a dirsi, difficile a farsi? Può darsi. Intanto non bisogna perdere di credibilità. Non così fu per Milone di Crotone, uomo dal fisico possente, famoso per essere stato un grande lottatore, un campione olimpico nella sua categoria. Pare che pur di mantenere inalterata la sua poderosa dimensione fosse solito mangiare un toro al giorno. Esagerato! Vada per essere stato un famoso lottatore, vada per essere stato un valoroso condottiero, vada che avesse una voluminosa massa corporea, ma che avesse un ciclopico appetito, mi pare poco credibile. Del resto questi aneddoti bisogna prenderli sempre con il beneficio dell’inventario. Meglio se mi avessero detto che si mangiava una fiorentina al giorno. Ci avrei creduto.
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