Eravamo consapevoli di quanto fosse arduo vincere il referendum sia perché da quasi un ventennio non era stato raggiunto il quorum dei votanti, sia perché nel frattempo è venuta abbassandosi la partecipazione al voto, sia soprattutto perché avevamo contro uno schieramento di forze agguerrite, ricche di mezzi finanziari e mediatici. Ma non ci saremmo perdonati di non avere fatto tutto il possibile per ottenere uno storico risultato in difesa dell’acqua pubblica, perché la percepivamo una battaglia di civiltà e di democrazia, un dovere civico che andava compiuto, prescindendo dalle scarse probabilità di un risultato che gratificasse l’investimento di energie e di tempo.Ed è accaduto che abbiamo vinto! Per questo va anzitutto un sincero grazie a tutti i cittadini/e che si sono assunti la responsabilità di votare, esercitando un diritto/dovere a cui gli squallidi e avidi comportamenti di certa classe politica in questi anni li hanno sempre più disaffezionati.Un grazie sentito anche ai quarantaquattro sindaci, appartenenti a schieramenti politici diversi, che hanno accettato di firmare l’appello al voto, riaffermando il percorso virtuoso che negli scorsi anni ha permesso di mantenere totalmente pubblica la gestione del servizio idrico nel Lodigiano. Se la politicizzazione impressa alla campagna referendaria negli ultimi giorni dai media ha dissuaso gli altri diciassette sindaci dall’esprimere pubblicamente la loro posizione, essi restano comunque nostri interlocutori per dare attuazione alla volontà della maggioranza dei cittadini di ripensare ai beni comuni in una logica non di mercato e di profitto, ma di salvaguardia e di valorizzazione di un patrimonio naturale e di una tradizione secolare inestimabili. Chi si è battuto per il successo del referendum sull’acqua ha adottato un’ottica di dialogo con tutti, di sereno confronto, di inclusione al di là delle personali posizioni politiche, perché si sentiva animato da idealità non da ideologie.Si tratta ora di dare una interpretazione non riduttiva dell’esito del referendum; c’è infatti chi sostiene che, dopo il referendum, si ritorna semplicemente alla possibilità di scegliere fra pubblico, misto o privato. Ma il quesito che ha abolito il profitto garantito del 7% sulla gestione del servizio idrico contiene in sé l’indicazione precisa che i servizi pubblici devono restare “fuori dal mercato” e i profitti devono restare “fuori dai servizi pubblici”. Dopo un trentennio di esaltazione delle politiche liberiste, di denigrazione della presenza “pubblica” nell’economia, di modernizzazione all’insegna di “più mercato / meno Stato”, di privatizzazioni che hanno fatto la fortuna di ristretti gruppi di potere, il risultato del referendum ribadisce che nei settori essenziali bisogna salvaguardare l’interesse di tutti, il bene comune, i beni comuni. Quindi in tema di gestione dell’acqua sarebbe coerente prendere in esame la proposta di legge di iniziativa popolare, sostenuta da 400.000 cittadini/e e consegnata nel luglio del 2007 nelle mani del Presidente della Camera. Le soluzioni che danno spazio alle imprese private e al profitto degli azionisti non sono in grado di evitare quella che, nella letteratura economica, viene definita la “tragedia dei beni comuni”, ossia la tendenza a distruggere il bene stesso attraverso un consumo che va oltre la soglia/limite che garantisce a tutti di consumare quel bene e preservarlo per il futuro.L’economista Luigino Bruni, attento studioso della gestione dei beni comuni, ha sostenuto: “In tema di beni comuni non basta la teoria della ‘mano invisibile’ del mercato, occorre una economia dei beni collettivi che sia un’economia di comunione ancorata al principio di fraternità. Senza un’economia così concepita non si esce dalla ‘tragedia dei beni comuni’. L’acqua sia gestita non solo dallo Stato, ma anche dalla società civile, con imprese efficienti che non hanno come scopo il profitto e per legge distribuiscono i profitti per scopi sociali e di comunione, anche con Paesi poveri: è una questione di civiltà, di presente e di futuro” (Seminario di Banca Etica, Bologna 26 ottobre 2010).Uscendo dalla fase referendaria/abrogativa e predisponendosi a una fase propositiva, chi si è battuto per l’Acqua Pubblica rivendica ora quanto ha ripetuto nei mesi scorsi e che è in sintonia con la posizione espressa da Bruni: è tempo di dare avvio a un differente modello di gestione pubblica, partecipat dalla cittadinanza attiva secondo la lettera e lo spirito dell’art. 43 della nostra Costituzione che vuole affidati i servizi pubblici essenziali, oltre che allo Stato e agli enti pubblici, anche “a comunità di lavoratori e di utenti”. I movimenti attivi sul territorio in difesa dei beni comuni devono partecipare alla governance e ai comitati di controllo delle aziende pubbliche, sul modello di quanto avvenuto anche a Parigi, dove dopo 25 anni la gestione dell’acqua è tornata dal 2010 in mano pubblica.Se l’acqua è l’archetipo dei beni comuni per la sua essenzialità nel ciclo della vita, tuttavia deve essere dedicata attenzione anche agli altri beni pubblici e a quei settori della vita civica che hanno un’incidenza significativa nella qualità della vita di una comunità: tra questi i rifiuti. A fronte dell’infiltrazione, anche nel Lodigiano, di imprese mafiose in questo settore, pensare a una soluzione totalmente pubblica della gestione dei rifiuti è il modo più certo di salvaguardia del nostro territorio da fenomeni di degrado sociale e morale.
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