Mai come questa volta ho atteso con curiosità mista a trepidazione l’arrivo del nuovo anno. Da una parte ero curioso di vedere se proprio poteva accadere quanto da qualcuno profetizzato e dall’altra un po’ teso per i funesti giorni che da quelle profezie stavano per arrivare. La storia inizia alla vigilia del solstizio d’inverno ossia qualche giorno prima del 21 dicembre quando su un sito internet leggo un preoccupante «allarme cosmico». La notizia è ricca di doviziosi particolari di natura scientifica e questo non è incoraggiante. Si parla di imminente allineamento dei pianeti del sistema solare, di eclissi cosmiche con conseguente oscuramento terrestre per almeno tre giorni (21, 22 e 23 dicembre), di terribili tempeste solari con conseguente blocco totale di tutti gli apparecchi elettronici. Ora vada per il blocco degli apparecchi elettronici, ma che dovessimo vivere alcuni giorni in balia di chissà quali fenomeni terrestri proprio sotto Natale, questo mi preoccupava tantissimo. E dire che avevo appena ricevuto dei dolcetti tipici pugliesi. Avrei avuto la possibilità di gustarmeli in santa pace? Ma poi arriva e passa Natale senza che nulla a tutt’oggi accade e allora capisco che sono solo profezie. Nefaste profezie che puntualmente e ciclicamente vengono presentate per imminenti, ma poi per fortuna senza seguito. Tant’è che durante le feste ho il tempo necessario per mangiare tranquillamente i miei buonissimi dolciumi pugliesi. Una relativa rassicurazione la fornisce anche la celeberrima astrofisica Margherita Hack che vede qualche pericolo per la terra solo nel 2036 quando un asteroide di nome «Apophis», dio del Buio e del Caos presso gli antichi Egizi, dovrebbe avvicinarsi pericolosamente al nostro pianeta con probabile impatto che sarà sicuramente apocalittico. Una teoria questa condivisa da un gruppo di scienziati russi che sono andati oltre fino a individuare giorno e ora del devastante impatto. Secondo i loro calcoli il disastro planetario dovrebbe avvenire domenica 13 aprile del 2036, giorno di Pasqua, alle ore 22,45. Sono proprio dei menagrami questi scienziati. Intanto mancano 21 anni al probabile disastro, ed io a quella data, se il buon Dio vorrà, avrò 86 anni circa, sarò un vecchio bacucco che non si renderà nemmeno conto del mondo che gli potrebbe crollare addosso. E allora andiamo avanti per altri 21 anni, chissà che il buon Dio nel frattempo, avendo pietà di noi, non decida di deviare la rotta dell’asteroide. Altri astrofici sono del parere contrario alla Hack tanto da riferire che il rischio che «Apophis» possa cadere sulla Terra è molto lontano. Dunque nemmeno gli astrofisici sono concordi. Questo mi fa stare più tranquillo. Eppure c’è chi si chiede «quanto tempo ci resta»? Ma sempre secondo gli scienziati russi la domanda è sbagliata. Secondo loro domandarsi solo «quanto tempo ci resta» è un comportamento passivo. Tant’è che invitano gli altri paesi, Europa e Stati Uniti in primis, a unirsi in uno sforzo comune per una missione spaziale col fine ultimo di cambiare la traiettoria dell’asteroide finché si è in tempo. Ora mi chiedo se è normale che ogni fine d’anno ci sia sempre qualcuno a cui piace assumere il ruolo di «Cassandra» e che si diverte, per così dire, a preannunciare imminenti disastri planetari poi puntualmente smentiti dal vivere quotidiano che continua a caratterizzare, tra alti e bassi, la vita quotidiana di tutti noi. Quella delle nefaste profezie è diventano, specialmente negli ultimi tempi, uno sport nazional-popolare. Se proprio volessimo vedere la fine di qualcosa allora sarei il primo a dire che oggi, senza aspettare per questo un domani disastroso, stiamo assistendo a una crisi dei valori senza pari, alla perdita di umanità, alla mancanza di sicuri punti di riferimento. Una situazione acuita da una sorta di compressione della spiritualità dell’uomo che ha come conseguenza l’affermarsi di grandi mali sociali come infanticidi, femminicidi, distruzione della famiglia in quanto nucleo tradizionale sociale, una preoccupante recrudescenza della povertà, della perdita dei posti di lavoro, della disoccupazione giovanile, dell’emarginazione, delle migrazioni di massa. Sono solo alcuni dei più gravi risvolti sociali che rappresentano il «De Profundis» della nostra società. Non sono profezie. Questo è il mondo in cui già viviamo. Una società che sembra non avere speranze mentre tutti brindiamo al nuovo anno. Un anno a cui affidiamo, invece, tutte le nostre speranze. La speranza di vivere in un mondo migliore. Un mondo che possa vedere finalmente il trionfo della ricerca su endemiche malattie; un mondo dove possa affermarsi la solidarietà sentita come semplice stile di vita; un mondo che possa vedere i potenti della terra l’uno accanto all’altro a cercare di alleviare la sofferenza di chi vive nelle favelas, sui marciapiedi ai margini della società, dei disperati, dei senza pace e dei senza tetto. E’ il mondo degli ultimi. Il mondo che dovrebbe scuotere la coscienza di chi è abituato a lanciare il sasso per nascondere la mano, di chi ama girare la testa dall’altra parte per non essere disturbato dalla potenza delle immagini, di chi ama parlare d’altro per non sentirsi travolto dagli eventi. Brindiamo al nuovo anno nella convinzione che la scuola possa affermare sempre più quel ruolo, per fortuna da tutti riconosciuto, di educare le nuove generazioni a scoprire il valore della speranza. La speranza di riconoscere nel diverso la forza dell’umana risorsa, di riconoscere nell’educazione il principio base del capitale sociale, della correttezza dei rapporti, del grande valore dei buoni comportamenti. Per Pestalozzi, educatore, riformista, e pedagogista, ricordato tra l’altro anche per i suoi innovativi concetti di educazione all’affettività e al sentimento, «educare vuol dire essere di esempio, tutto il resto è di addestramento». E pensare che diceva questo già alla fine del settecento. Quando un anno se ne va e un altro arriva si è soliti buttar via dalla finestra le cose vecchie e tenerci quelle buone. E allora buttiamo via dalla finestra le tante nefaste profezie e teniamoci stretta la speranza. Quella speranza necessaria per dare nuove certezze a un mondo oggi sbandato, deluso e demotivato. Buon Anno!
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