Le cravatte e la scuola di classe

Sta facendo discutere un bel po’ l’esperienza avviata già da tempo da un mio collega inglese impegnato a dirigere un College a Londra frequentato da poco più di 1800 studenti distribuiti nei diversi settori in cui è diviso l’istituto. Gli allievi sonoassegnati a ciascun settore a seconda della fascia di merito di appartenenza. E fin qui nulla di strano. Ciò che invece lascia perplessi è la decisione di affidare al semplice colore della cravatta, fatta indossare obbligatoriamente dagli allievi congiuntamente a una divisa che caratterizza l’istituto, il settore di appartenenza ovvero l’indicatore in quanto a impegno, studio e profitto. Cosicché ci sono studenti con la cravatta viola ad indicare i più bravi, poi ci sono quelli con la cravatta azzurra, e questi sono quelli normali, (se per normali intendiamo i ragazzi che si accontentano della sufficienza senza tanti sforzi), infine quelli con la cravatta rossa ad indicare i mediocri, quelli che presentano delle difficoltà, quelli che si devono dare da fare se non vogliono franare lungo il percorso. Sembra un sistema fuori dal mondo e invece, stando a quanto pubblicato di recente da alcuni giornali inglesi, pare che stia dando dei buoni risultati. Il direttore del College, Michael Murphy, ne è entusiasta convinto com’è che in questo modo gli studenti riescono a trovare un serio motivo per recuperare terreno pur di passare da un settore all’altro o per cercare di cambiare il colore della cravatta. Un sistema che, a dire di Mr. Murphy, punta a stimolare gli alunni a migliorarsi, a ritrovare motivazione nell’impegno, nello studio, riscoprendo serietà, rigore e spirito di sacrificio. Naturalmente non tutti tra i suoi professori sono dello stesso avviso. C’è chi paventa il rischio di scatenare tra gli studenti una sorta di rivalità che trovi nella ricerca dell’errore dell’altro, la personale possibilità di affermazione. C’è chi, invece, vede in questo sistema il rischio di alimentare una discutibile competizione con conseguente emarginazione di chi si ritrova in difficoltà con buona pace di chi vede nell’aiuto e nella solidarietà l’affermarsi dell’etica della relazione. Vita dura, quindi, per i mediocri del Crown Woods College. Sotto certi aspetti, tutto questo, mi ricorda il mio prof di Italiano delle medie, il mitico prof. Emilio Fontana, (passato a miglior vita) che era solito dividere la classe in due schieramenti. Da una parte gli studenti identificati in Roma e la sua civiltà, il suo Diritto. Dall’altra quelli identificati in Cartagine, mercantile e rozza, lontana da ogni fonte di diritto. Romani e Cartaginesi erano dunque i due schieramenti. Bravi e studiosi i primi, sempre con i voti alti in tasca; mediocri i secondi sempre al di sotto della sufficienza, con alcuni impegnati nella scalata per passare dall’altra parte e altri destinati a soccombere tra delusioni e inutili tentativi. Da una parte i secchioni, sempre pronti a raccogliere il meglio senza tanta fatica; dall’altra gli sfigati quelli che dovevano impegnarsi sino allo spasimo per convincere il prof. delle loro capacità di recupero. In verità anch’io ho dovuto impegnarmi parecchio per guadagnarmi un posto stabile nel settore dei Romani. Il che mi costava un certo sacrificio dal momento che la situazione inventata dal prof. di Italiano mi costringeva a conciliare lo studio richiesto dal prof. con l’aiuto nei campi richiesto da mio padre. Ma tanta era la voglia di passare e rimanere nell’agognato schieramento che ogni fatica veniva da me sentita come occasione di affermazione. E per un figlio di contadini questo rappresentava una sorta di riscatto sociale. E’ stato questo il periodo in cui conobbi momenti di maggior tensione, tale e tanta era la paura di ripassare il Rubicone e ritornare tra gli «odiati» Cartaginesi. Ciò che invece facevo fatica a capire era il fatto di veder relegati i Cartaginesi dalla parte dei perdenti, dei nemici della patria, eppure a me piacevano Annibale e suo fratello Asdrubale. Il primo per il coraggio dimostrato in battaglia, per aver messo in difficoltà il potente esercito romano, per essere riuscito a far tremare i Senatori. Mi piaceva in quanto stratega e innovatore. Grande la sua spedizione attraverso le Alpi con gli elefanti. Le unità corazzate di quell’epoca. Il secondo per il grande spirito di solidarietà verso il fratello che la cattiva sorte gli impedì di dimostrare. Eppure in classe si faceva a gara, in quanto a impegno nello studio, per allontanarsi nel più breve tempo possibile dai Cartaginesi e rifugiarsi tra i Romani. Per noi maschietti, poi, ciò rappresentava non solo una miglior condizione in quanto a profitto scolastico, ma anche l’occasione per cambiare di posto e sperare di capitare a fianco di qualche ragazza. Il massimo della sfortuna era quello di rientrare tra i Cartaginesi espressione di un altalenante rendimento scolastico, che preparava i malcapitati a un futuro carico di incognite, mitigato dalla speranza di essere rimandati a settembre. Se oggi per il mio collega inglese il merito è affidato al colore della cravatta, allora era affidato all’appartenenza a un popolo piuttosto che a un altro. Il confronto tra chi è meritevole in quanto studente impegnato fino a conquistarsi la fiducia di un insegnante e chi è mediocre fino a rischiare di sperdersi nella palude dell’abbandono è sempre stato una caratteristica della realtà scolastica. Personalmente penso che affidarsi a cravatte e popoli sia esagerato, ma suscitare negli studenti una concreta motivazione allo studio per migliorare il rendimento sia invece un viatico utile quanto necessario. Il difficile non è la competizione in sé quanto il saper affrontare il confronto, dimostrando le proprie abilità, acquisite sul campo grazie a un serio e costante impegno nello studio. Meglio lasciar perdere colori di cravatte e settori separati, popoli rozzi e popoli civili. Ciò che deve stimolare l’allievo è il convincimento che impegno, serietà, diligenza richiedono costanza, spirito di sacrificio, partecipazione. Lo sperava anche Senocrate, allievo di Platone, quando tentava di mettersi in competizione con il più blasonato Aristotele. Purtroppo per lui era Platone a farlo ritornare con i piedi per terra quando diceva: «Quale somaro allevo contro questo cavallo di razza». Stiamo parlando, però, di maestri e allievi che hanno fatto la storia della cultura occidentale.

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