I presidenti di tutti i Paesi latinoamericani hanno “twittato” più meno all’unisono frasi di entusiasmo, le televisioni si sono ubriacate di servizi fino a notte e ieri tutti giornali hanno aperto con la foto del primo Papa latino della storia. Sì latino, come si dice dal Messico alla Terra del Fuoco per indicare il grande popolo latinoamericano. Latinos y mestizos, latini e meticci, sono tutti i figli di questa mezcla genetica affascinante, che mescola appunto la costa, la sierra e la selva, il mare, le Ande e l’Amazzonia, con le tante immigrazioni dall’Europa, dall’Asia e dal Pacifico. I figli di questa terra, grazie anche all’idioma comune, hanno creato una sorta di grande comunità sovranazionale meticcia che condivide storia, musica e letteratura. La categoria del meticciato, così forte in America Latina, è categoria universale, che a tutti appartiene e tutti include. E se ieri questa grande nazione latinoamericana, pur con qualche tensione, si è unita a salutare Chavez in un modo che in Europa può apparire poco comprensibile, oggi ha fatto festa per la nomina di un Papa latino a San Pietro. Nicolas Maduro addirittura, neo presidente venezuelano, si è lanciato ad affermare con orgoglio che probabilmente proprio Chavez dal cielo avrebbe suggerito al Cristo di orientare la scelta su un Papa latinoamericano. Ora i media, dopo aver raccontato l’orgoglio dei rappresentanti delle chiese locali e di molti cittadini, dando conto dei tweet dei presidenti come delle messe celebrate per pregare per il nuovo Papa, passano agli approfondimenti e raccontano il passato di Jorge Bergoglio, che qui si pronuncia Bergog-lio, staccando le consonanti, in un modo che fa sorridere gli italiani che quel cognome hanno fatto nascere in terra piemontese. Emergono cosi anche i passaggi più discussi. Dall’appartenenza alla Guardia de Hierro, una problematica formazione peronista, alla tensione nella Compagnia di Gesù, quando padre Bergoglio prese posizioni lontane da quelle di Arrupe che cercava il dialogo con i teologi della liberazione. Quindi la stagione triste e terribile della dittatura argentina, che uccise o fece sparire molti cristiani e molti sacerdoti. Il futuro Papa venne accusato di non aver difeso e protetto i suoi confratelli; alcuni addirittura insinuano che ne abbia favorito la persecuzione. Infine il rapporto faticoso con i Kirchner, che si sono succeduti al potere in Argentina regalandole una stagione di sviluppo e democrazia che da anni le erano stati negati. In realtà, rivelano i media latinoamericani, queste stesse vicende possono essere presentate a creare un quadro diverso, quello di un uomo da sempre alla ricerca del rigore e della sobrietà. In questo modo si può comprendere l’adesione giovanile alle Guardie di Ferro, discutibili per alcune posizioni, ma rigorose nel radicale richiamo alla coerenza personale. Nello stesso modo può essere spiegata la sua indisponibilità a posizioni che riteneva sbagliate nella Compagnia di Gesù. Un rigore comprensibile sul piano teologico, ma che non seppe allora evitare ferite e lacerazioni. Mai dimostrate invece le accuse di connivenza con la dittatura. Forte è stata la parola dell’arcivescovo di Buenos Aires quando non condivideva l’operato del governo, tanto da far dire a Nestor Kirchner in un momento di sfogo: ‘Bergolio è il vero capo dell’opposizione’. Ma alla morte improvvisa del presidente l’arcivescovo fece celebrare subito una Messa in Cattedrale, dicendo che “sarebbe una ingratitudine se questo popolo non si unisse in preghiera per un uomo che ha caricato sul suo cuore, sulla sua coscienza e le sue spalle il segno di un popolo che gli ha chiesto di guidarlo”. Nel suo profilo di vescovo sembra riconoscersi la maturazione di uno stile che al rigore teologico e personale accompagna oggi l’attenzione non formale alle relazioni, sia con i potenti sia con gli ultimi. Così a Buenos Aires è stato visto spesso compiere gesti di semplicità, come girare in pullman, o rivolgersi ai disoccupati con la stessa umanità che rivolse al presidente argentino. Questa capacità oggi gli è valsa la fama di uomo capace di parlare con tutta la chiesa. In America Latina è forte, inutile nasconderlo, la tensione che divide la famiglia più progressista da quella più conservatrice. Ma è un fatto che divisioni esistono ancora, anche all’interno dell’episcopato, senza che a queste corrisponda sempre la capacità e la voglia testarda di superarle. Per questo le chiese locali nutrono una grande attesa per il nuovo Papa, con il desiderio di disinnescare le tensioni interne. La nomina di un gesuita che sceglie il nome di Francesco, cioè del santo della povertà e fondatore della congregazione storicamente alternativa a quella della Compagnia di Gesù, che appena eletto Papa parla della diocesi di Roma quasi a circoscrivere il proprio ruolo nella collegialità e senza enfatizzarne il suo primato, sta accendendo speranze. Realizzarle dipenderà non solo da lui, ma anche dalla disponibilità di tutti a camminare davvero insieme.
© RIPRODUZIONE RISERVATA