Che si voti a marzo, come sembra più probabile, o a maggio (oltre non è possibile andare per rispetto dei tempi costituzionali), si è entrati nella fase cruciale di quest’ultimo scorcio di legislatura. Non c’è bisogno di analisi sofisticate per capirlo, basta prendere in mano l’agenda politico-parlamentare e mettere in fila gli appuntamenti: entro il 15 ottobre il governo deve inviare alla Commissione europea il documento programmatico di bilancio ed entro il 20 deve presentare al Parlamento la legge di bilancio vera e propria; il 22 ottobre sono in calendario i referendum consultivi sull’autonomia in Lombardia e in Veneto; il 5 novembre si vota in Sicilia per la Regione. Nel frattempo il 10 ottobre la riforma elettorale è arrivata nell’aula della Camera. L’approvazione parlamentare abbastanza tranquilla della nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, che è la premessa della legge di bilancio, sembra aver sdrammatizzato l’atmosfera intorno a quella che nel linguaggio corrente si è soliti chiamare “manovra economica” (un tempo, anzi, c’era “la finanziaria”). Resta tutto da verificare il merito delle misure messe a punto dal governo, ma anche la tenuta dell’insieme della manovra nel lungo e complesso iter parlamentare. Con le urne all’orizzonte, la tentazione di utilizzare la leva economica a fini elettoralistici è sempre molto forte, dentro e fuori il Parlamento. E ci sono anche da monitorare, al di là dell’intrinseca importanza del provvedimento, le eventuali ripercussioni che potrebbe avere il dibattito sulla legge elettorale, il cui percorso si presenta molto accidentato, esposto com’è al rischio del voto segreto a fronte del malumore di tanti parlamentari che rischiano di non essere rieletti. Al punto che, a dispetto delle dichiarazioni pubbliche, la possibilità di ricorrere al voto di fiducia per “blindare” la riforma non viene affatto esclusa. Dopo di che sarebbe difficile spiegare perché quel che è possibile per la legge elettorale – eventualità discutibile, ancorché legittima, dal punto di vista istituzionale – non sarebbe possibile per la legge sullo ius soli, su cui peraltro si sta coagulando in Senato un crescente consenso trasversale.
Ma nel gran movimento della politica non sono in campo soltanto le dinamiche parlamentari. A livello regionale sono oltre 16 milioni gli elettori potenzialmente coinvolti dai referendum del 22 ottobre e dal voto siciliano. Quest’ultimo, in particolare, è considerato anche un importante test nazionale. Ma sia pure soltanto consultivi e privi di effetti giuridici, i controversi referendum in Lombardia e Veneto rappresentano comunque un passaggio politicamente rilevante. Sarà importante soprattutto valutare l’affluenza alle urne. La variabile regionale, del resto, è destinata ad avere un peso crescente, se si pensa che 2018 non si terranno soltanto le elezioni politiche, ma andranno alle urne – con leggi elettorali ben diverse da quella nazionale – Lombardia, Lazio, Molise, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e le province autonome di Trento e Bolzano.
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