Ad attirare la mia attenzione è una di quelle notizie che ad essere pignoli lascia un tantino disorientati, poiché da una parte tocca il cuore per il troppo amore che si nutre per un figlio, dall’altra scuote la ragione per l’iniqua scelta dell’illegalità considerata necessaria alla soluzione del problema. I fatti in breve. A Bronte, in provincia di Catania, una docente nominata commissaria esterna in una commissione d’esame di maturità presso il Liceo Classico «Ignazio Capizzi», appena aperta la busta della seconda prova, si apparta e provvede, in tutta riservatezza e sollecitudine, a mandare via sms la traduzione della versione di latino al figlio impegnato negli esami di maturità presso il Liceo Scientifico «Michele Amari» di Giarre. Ma qualcosa va storto. Il «misfatto» viene a galla e la professoressa denunciata. L’ufficio scolastico competente provvede alla sua immediata sostituzione come commissaria d’esame (la prof. rischia il licenziamento), mentre il ragazzo, che porta comunque a termine tutte le prove, rischia di vedersi annullati gli esami. Siamo di fronte a un esempio di come è difficile accettare l’dea di vedere i propri figli affrontare da soli le difficoltà della vita. Una professoressa che, in un momento delicato, si ritrova disorientata nell’esercizio della sua funzione e, vinta dall’amore materno, ritiene «cosa buona e giusta» aiutare il proprio figlio impegnato nella maturità. In realtà, a mio modo di vedere, si comporta come una vera amica e come tale si spende per dare un aiuto a chi in quel momento è nel bisogno. Spendersi per il proprio figlio, aumenta a dismisura la voglia di sentirsi al suo fianco. Come insegnante di latino il successo dell’aiuto è garantito. Probabilmente il suo animo si sarà diviso tra il cuore di mamma che, in pieno stato emotivo, vuole smettere di fare le capriole per raccordarsi positivamente con il proprio figlio e l’etica professionale la cui identità non può che essere intrinseca alla stessa dimensione educativa e che richiede equilibrio, rigore, imparzialità. In pochi minuti si consuma, forse, una lotta interiore. Alla fine prevale il cuore di mamma e, mentre la professionalità va a farsi friggere, il soccorso scatta. In men che non si dica la versione è tradotta (facile per una stimata docente di latino), il resto lo fa la tecnologia. Ma la mamma fa un errore madornale. Sa benissimo che i ragazzi prima o poi devono imparare a camminare da soli, devono imparare ad affrontare le difficoltà, a gestire gli errori, gli insuccessi, le relazioni. Sa benissimo che a diciannove anni devono acquisire più consapevolezza nelle proprie capacità e imparare a dominare impeto, ardore ed emotività, ma anche i propri limiti. A quell’età non aspettano più l’arrivo della «befana con le scarpe tutte rotte e le toppe alla sottana». A quell’età i ragazzi sono impegnati a chattare con le ragazze dalle magliette corte e i jeans griffati. E’ finito il tempo delle torte e inizia quello dei viaggi con il sacco a pelo. La casa si fa stretta, la scuola diventa un ricordo, le amicizie si intensificano, gli orizzonti si allargano, le preoccupazioni aumentano e le responsabilità fanno capolino. Invadere e condizionare questo campo significa ritrovarsi davanti dei ragazzi resi deboli dalla forza dei genitori, la cui figura finisce per essere riconosciuta più come un provvido benefattore che non come un adulto autorevole. E allora scatta l’ansia, l’attesa di aspettarsi sempre e comunque una ciambella di salvataggio, un qualcuno capace di toglierli da imbarazzanti situazioni in cui spesso i ragazzi finiscono, ma anche un gesto risolutore che eviti di far conoscere il senso, il valore della fatica, dell’impegno, dello sforzo morale e fisico necessari per affrontare le situazioni della vita. Siamo di fronte a una netta divisione tra un gesto calcolato e razionale e un vissuto emotivo che ha come punto di riferimento l’amore per il proprio figlio. Una netta divisione separa le due dimensioni che purtroppo, però, in questo caso, si intersecano e finiscono col farsi del male a vicenda. Una situazione che ha trovato nella tecnologia la risposta immediata sia pur consumata all’ombra dell’illegalità, ritenuta moralmente accettabile perché di mezzo c’è la convinzione che uno studente, un figlio, da solo non può farcela. La circostanza ha dell’incredibile. Come può una professoressa muoversi nella convinzione di avvalersi del proprio ufficio per avvantaggiare un figlio impegnato negli esami di maturità? Un convincimento sbagliato, ma che ha trovato una sua logica solo nell’amore materno tradito dalle leggi scritte. Regole perverse che non consentono ciò che un cuore, invece, consente. Mi dispiace, ma a mio modesto parere la professoressa va punita e l’esame sostenuto dal ragazzo va annullato. «Dura lex, sed lex». Ne va di mezzo la credibilità delle stesse istituzioni. Tante volte sono proprio i genitori che si muovono su convinzioni sbagliate a tal punto da creare condizioni sfavorevoli alla crescita educativa. Figli protetti oltre misura, difesi a spada tratta in ogni situazione e per ogni occasione, ritenuti sempre vittime innocenti talvolta sacrificati persino alla ragione. Un forte livello emotivo si sostituisce spesso alla più evidente razionalità. Un livello che deve fare i conti con un orizzonte diverso che sta fuori la propria dimensione, che ha le sue regole da rispettare, che rigetta ogni forma di scaltrezza e di illegalità, ma che richiede rigore, equilibrio e serietà. E invece succede esattamente il contrario. Una mamma mette a rischio la propria immagine professionale per aiutare il figlio. Il problema sta proprio qui. Può essere considerato il suo gesto un aiuto? Può, questo aiuto, trovare spazio in una normale dimensione morale? Direi proprio di no. La professoressa è andata oltre la propria dimensione professionale, lasciandosi catturare dall’emotività fino a trasgredire la più elementare delle regole: la riservatezza del proprio ufficio. Cosa ha mai potuto imparare, in questo caso, il ragazzo dal gesto della madre? Una madre che finisce per abdicare in campo educativo e non volendo, gira le spalle al proprio figlio. Genitori senza polso che non sanno indicare la giusta strada per rendere veramente forti questi nostri ragazzi. Genitori così sono dei pessimi maestri.
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