Scandali, ancora scandali. Quasi non bastasse la confusione della politica e lo smarrimento del cittadini, eccoci raggiunti da una nuova tragica ondata. Ieri le Regioni Lombardia, Puglia, Campania, Sicilia, ora il Lazio, eppoi i Penati, i Lusi, i Belsito. i Fiorito: è uno svillaneggiare continuo e indegno della politica. Altro che “ladri di polli”, è il tradimento delle autonomie. Altro che “le Regioni hanno già dato, non hanno più un soldo”, mentre si continuava a disastrarne i conti.
D’accordo, di santi ce ne sono pochi dappertutto. I poteri, della politica, della finanza, dell’economia sono quelli che sono, nei loro corridoi difficilmente si incontrano santi. Una cosa va detta: ieri c’erano i finanziamenti illeciti, i fondi neri, i contributi disdicevoli che servivano ai partiti e alle loro campagne elettorali, oggi i fondi pubblici diventano spesso privati, finiscono su conti personali, in arricchimenti individuali, in spese proprie per ozi, vizi, addirittura interviste televisive. Vergogne commesse da singoli, ma più spesso da gruppi, da comitive. Di sistema. Una deriva inarrestabile, devastante il rapporto coi cittadini. Che distrugge ogni logica politica. Se le ragioni della politica, la classe dirigente, l’investitura popolare, l’obbligo di governabilità sciolgono dalla responsabilità, dalla vigilanza, dalle garanzie è inesorabile si varchi ogni confine estremo. Perché a questo siamo, al punto di non ritorno. Lo si dice da sempre, dalla Prima Repubblica, da Tangentopoli. Oggi, come allora, si spera che le nuove traumatiche esperienze facciano rinsavire un po’ tutta la classe politica, che ha colpevolmente perso il senso dei valori per piegarsi a fini congiunturali.
Al netto dell’inevitabile propaganda le reazioni sono prudentissime. Caute oltre ogni misura. Talmente “valutate” da sollevare perplessità. Si teme che dalle mangiatoie regionali possa venir fuori qualcosa di peggio?
Siamo nel fango, sommersi da fatti vergognosi e indegni di una democrazia. Investiti da comportamenti che mortificano e degradano le istituzioni, trasformate in territori di illegalità e malaffare. Per colpa di figuri impresentabili, certo, eppure scelti con spregiudicatezza tra i più bramosi e ingordi all’interno di un sistema associativo che li accetta e li promuove incrociando il sottobosco degli interessi, delle clientele, delle protezioni.
Sia chiaro: a fare politica nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni, in Parlamento c’è anche gente perbene. Non sono eccezioni. Neppure minoranze, grazieiddio. Sono una parte soggiogata dai soggetti forti, che creano essi le regole, le logiche interne, posseggono le “informazioni” e piegano a un uso volgare e vantaggioso proprio ogni decisione.
Sanità, appalti pubblici, energia, protezione civile, grandi opere, gestione dei rifiuti, discariche, cura del territorio, management, soldi dei cittadini, tutto questo come può andare tanto facilmente “fuori controllo”? Solo per responsabilità “individuali”? Non c’è qualcosa di sistemico che tradisce i cittadini in un momento tanto grave in cui la fiducia è l’elemento indispensabile per restituire consenso.
Si gioca coi cavilli, si vanno a raccontarle in tv le proprie malefatte. Non a caso, naturalmente. Non per ricostruire una “verità”, sia pure la propria, o chiedere scusa, ma per canonizzare un costume, una cultura, quella del “così fan tutti”, per sostenere che il malaffare è un precetto.
Corruzioni, ruberie, sottrazioni, trucchi contabili, sono sempre derubricate a responsabilità individuali. Possibile che in Italia non si sappia fare politica in maniera diversa?
Sicuramente accade anche perché c’è troppa indifferenza per la politica fatta bene, trasparente, che ha consapevolezza dei suoi usi e per questo rispetta canoni di regole e di azioni. Ha scritto il Corriere che “solo la politica può salvare la politica: cambiando tutto”. Realismo ed esperienza ci dicono che c’è poco da sperare. Possiamo cominciare noi cittadini-elettori col cambiare atteggiamento e agitare una più diffusa e costante intransigenza morale; non continuando a non perdere la memoria dei fatti che si accavallano in Parlamento, Regione, Provincia, Comune; mandando alla classe politica e alla sua “élite” segnali di durezza e severità, senza cadere nel “moralismo”, nell’insulto, nella comicità. Imparando a smagliare le reti degli interessi e delle protezioni, e tutto quanto può stare dietro a collateralismi e a trasversalismi.
La vita pubblica reclama rigore e correttezza pena il disfacimento non di questa o quella forza, di questa o quella autonomia, ma dello Stato.
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