L’Italia unita è ancora un bene

Anche a mio parere (e non ci vuole molto), il successo di Roberto Benigni nel suo intervento al festival della canzone di Sanremo è veramente meritato. La sua “lectio” è stata veramente “magistralis”, come erano state, a suo tempo, le sue letture della Divina Commedia. È riuscito perfino a rendere bello il nostro discusso inno nazionale, detto provvisorio; a riportare alla luce i personaggi del Risorgimento spesso dimenticati, con richiami alla storia, da Scipione l’Africano, passando alla Divina Commedia, nella quale (v. Canto XXX del Purgatorio, versi 31-33) sembra si adombri la futura visione del Tricolore: “Sovra candido vel cinta d’oliva (bianco) donna m’apparve, sotto verde manto (verde) Vestita di color di fiamma viva” (rosso) per arrivare ai Martiri ed Eroi, “pronti alla morte”, che veramente sacrificarono la loro vita perchè i loro figli, cioè noi della nostra epoca, vivessero liberi da quelli (Metternich) che un tempo avevano ridotto l’Italia a una “espressione geografica”, come abbiamo letto del duello Pepe-Lamartine. Tra parentesi bisogna riconoscere onestamente che dopo il malgoverno spagnolo e i rapinatori francesi, i duri austriaci ci insegnarono e ci lasciarano la migliore amministrazione. Durante la sua esibizione (Benigni era quanto mai sovreccitato), mi tornava alla mente quando da bambino (“i bimbi d’Italia si chiaman Balilla”), da Balilla, appunto, ci insegnavano gli Inni della Patria, fra i quali, credo sconosciuto ai più, una parte dell’altro inno scritto da Mameli, quello musicato, su invito di Camillo Benso conte di Cavour, niente di meno che da Giuseppe Verdi. Era intitolato “Suona la tromba”. Ecco la parte che ci insegnarono, ma so che non è completa: “Suona la tromba, ondeggiano le insegne gialle e nere. Fuoco! Per Dio, sui barbari, sulle vendute schiere! Già ferve la battaglia,. Al Dio dei forti osanna! Le baionette in canna. È l’ora del pugnar. Né deporrem la spada finché sia schiava un angolo dell’Italia contrada. Finchè non sia l’Italia una dall’Alpi al mar. (...) Figli d’Italia avanti finché nel cielo l’aquila di Roma guida i fanti, finché la proletaria non vinca in terra e in mar.” Altri elementi completavano la nostra formazione patriottica in buona parte ancora antitedesca che per la maggior parte eravamo figli di combattenti della Grande guerra, definita anche la Quarta Guerra d’Indipendenza. Tanti erano i canti che ci insegnarono: rendiamo onore agli autori dei testi e ai musicisti dell’epoca. Tutti ricordano “E la bandiera di tre colori”, “Addio, mia bella addio”, “Si scopron le tombe, si levano i morti” (Inno di Garibaldi), “Giovinezza” (ricavata da una canzone goliardica) di Salvator Gotta e G. Blanc, “La canzone del Piave” di Giovanni Gaeta (E.A. Mario). “L’inno a Roma” di Puccini, “L’inno dei Balilla” e quello dei “Giovani Fascisti” di V.E. Bravetta e G. Blanc ecc. Ultimamente, anche il quotidiano la Repubblica ha riportato alla mente anche altri artisti: i pittori, i dipinti dei macchiaioli, prima fra tutti Giovanni Fattori con i suoi: “l’attesa”, “Carica di cavalleria”, “Pro Patria morì”, “in vedetta”, “il campo di battaglia dopo la battaglia di Magenta”. Citato anche Odoardo Borrani con “Le cucitrici di camicie rosse”: tutti quadri di un’efficacia senza pari, come anche, dello stesso pittore, quello intitolato “26 aprile 1859”k, con la signora che sta cucendo un tricolore. Oltre agli artisti, come i grandi operisti Bellini, Rossini, Donizetti e Verdi, anche la gente comune che non era al corrente delle diatribe in corso fra Mazzini, Cavour, Garibaldi, Gioberti, Cattaneo ecc., ognuno dei quali vedeva un’Italia fatta a modo suo, si era sentita conquistata specialmente dalla fama che Garibaldi si era conquistata. Anche a Casale abbiamo avuto chi partecipò alle guerre di indipendenza e alle azioni garibaldine: da Saverio Griffini, prima medaglia d’oro del Risorgimento guadagnata a Goito nel 1848, a molti altri, elencati nell’opera del prof. Franco Fraschini “Casalpusterlengo da borgo a città”: Giuseppe Ampollini, Giuseppe Beza, Mansueto Pelloni, Pietro Bombozzi, Carlo Cambiè, Enrico Ruggeri, Luigi Bombozzi, Daniele Belloni, Vincenzo Bignami, Giuseppe Cassina, Bartolomeo Contesi, Luigi Croce, Angelo Coralli, Angelo Curioni, Matteo Esposti, Luigi Guzzelloni, Francesco Lorenzini, Alessandro Maiocchi, Luigi Sozzi, Alessio Villa e Gaetano Valcamonica, tutti con Saverio Griffini. Inoltre, come volontari garibaldini: Luigi Airoldi, Carlo Ardemagni, Modesto Boriani, Giuseppe Dansi, Vincenzo Peviani, Angelo Peroni, Luigi Zilioli e Ludovico Gambarini e Luigi Martignoni, caduto nella battaglia di Calatafimi. Oltre a quelli sopra elencati, mi risulta che garibaldino fu anche Francesco Gastaldi, zio del mio padrino di Cresima, di cui la documentazione è andata perduta, salvo un accenno che il disegnatore Angoletta pose nel Corriere dei piccoli: “C’era pur Cecco Gastaldi/che pugnò con Garibaldi”. A proposito della spedizione dei Mille, leggendo alcuni libri di storia ho avuto l’impressione che anche l’Inghilterra abbia dato un suo, seppur marginale, contributo, essendo essa impegnata anche in altri numerosi e importanti problemi. Si legge infatti che durante lo sbarco dei Mille a Marsala l’artiglieria borbonica non potè sparare contro le navi garibaldine per non colpire alcune navi inglesi che con ammirevole tempismo vi si erano frapposte. Pare che l’Inghilterra avesse pure interesse a che i Borboni non conseguissero maggiore importanza nel Mediterraneo e infine che i Francesi non acquisissero maggior prestigio con la loro difesa dello Stato della Chiesa. Non era stato dimenticato da loro il periodo napoleonico e forse anche il contrasto religioso fra Cattolicesimo e Anglicanesimo. Ad ogni modo, anche con tutti gli inconvenienti che registriamo tutti i giorni, l’Italia unita è ancora un bene. Ci basta che chi ci governa si occupi, con il massimo di onestà e correttezza, del bene di tutti gli italiani. Ciò renderebbe felici noi e onorerebbe coloro che in buona fede si sono sacrificati per “fare” l’Italia, con lo scopo finale (questa era la loro intenzione) di “fare” anche gli Italiani.

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