L’Italia non è più sola a fronteggiare l’emergenza-Mediterraneo. Dal 1° novembre è in funzione l’operazione Triton coordinata da Frontex, agenzia dell’Unione europea per il controllo delle frontiere esterne: entro 30 miglia dalle coste italiane saranno impegnati 1 elicottero, 4 aerei, 4 pattugliatori, 1 nave di pattuglia costiera, 2 motovedette e 65 persone, messi a disposizione da 21 Paesi europei, per una spesa mensile di 2,9 milioni di euro attinti dal Fondo di sicurezza interna e da Frontex (il cui bilancio, però, l’Europarlamento e il Consiglio Ue dovranno incrementare nel 2015 affinché l’operazione possa continuare).In Triton sono confluite tre operazioni: l’italiana Mare Nostrum e le europee Hermes ed Aeneas, queste ultime coordinate da Frontex, ma sempre di competenza italiana. Si tratta dunque, come ha spiegato il ministro dell’Interno Angelino Alfano, di “un’operazione di presidio delle frontiere marittime”. Dal canto suo la commissaria per gli Affari interni della commissione Barroso, Cecilia Malmström (che con l’avvio della nuova Commissione Juncker, lo stesso 1° novembre, ha lasciato l’incarico per assumere la delega del Commercio) ha specificato che Triton funzionerà “nel pieno rispetto dei diritti dei migranti e del principio di non-respingimento, che non consente il rimpatrio forzato” di chi attraversa il mare nella disperata ricerca di una vita dignitosa. Secondo la commissaria svedese Triton è “un’operazione che corrisponde completamente alle richieste avanzate dalle autorità italiane”. Nel frattempo l’operazione Mare Nostrum andrà a conclusione nel giro di due mesi, dopo aver tratto in salvo oltre 100mila persone. In sede europea è stato quanto meno riconosciuto all’Italia uno sforzo gravoso, visto che in un anno sono stati operati 558 interventi di salvataggio e di contrasto della tratta di esseri umani, con l’arresto di 728 scafisti. Tutto ciò ha richiesto l’impiego di un migliaio di marinai, carabinieri e finanzieri, mezzi di tutte le forze militari e di sicurezza italiane, della Capitaneria di porto, della Croce Rossa. Non va poi dimenticato l’immane compito di fornire una prima accoglienza agli stessi migranti, ripartiti soprattutto in centri dislocati nel Mezzogiorno; un’altra parte delle persone approdate sulle coste italiane sono state quindi “ripartite” tra le regioni del Centro e Nord Italia, e una quota minore è stata trasferita in altri Paesi Ue resisi disponibili. Essenziale, in questo ambito, l’impegno della Caritas, delle diocesi, del volontariato cattolico.Triton è dunque lo strumento che la Commissione europea ha attivato per il Mediterraneo, “mare europeo, sotto la responsabilità dell’Europa”, ha dichiarato ancora Cecilia Malmström; non è però un sostituto, bensì “un importante strumento a completamento degli sforzi delle autorità italiane”. Triton “non può e non vuole sostituire Mare Nostrum – sempre nelle parole della Malmström – né modificherà le responsabilità italiane nel controllo della sua parte delle frontiere esterne dell’Ue e nei suoi obblighi nel garantire la ricerca e il soccorso in mare” secondo le regole internazionali e comunitarie. Mare Nostrum si spingeva infatti a pattugliare i mari fino al limite delle acque territoriali libiche, da dove partivano la maggior parte delle imbarcazioni. Il ministro Alfano, però, non ha al momento chiarito come l’Italia di qui in poi risponderà ai suoi obblighi. Se Triton è un’operazione di pattugliamento, che non ha i mezzi e lo scopo di “cercare e salvare” persone, cosa che Mare Nostrum prevedeva, che cosa succederà alle barche sempre più fatiscenti e sempre più affollate di disperati che cercano futuro? In genere si verifica che nei mesi invernali i trafficanti rallentino le corse delle loro “carrette” – per via del freddo e delle peggiori condizioni del mare – e quindi dovrebbe un po’ calare l’emergenza: ma quando tornerà la primavera? Le numerose obiezioni e proteste di organizzazioni umanitarie, di alcuni europarlamentari, di qualche forza politica non appaiono infondate. Di fatto Triton, “la più grande operazione marina” che Frontex abbia mai intrapreso, parte dunque con parecchi interrogativi. È, forse, la notizia di un’Europa che si vuole “difendere” e per questo rafforza i propri confini esterni. Una Unione europea che, frenata dalle divisioni fra i 28 Stati membri, non è ancora riuscita a risolvere il problema di come dare “piena attuazione al sistema europeo comune di asilo” e definire un “programma veramente europeo per il reinsediamento dei rifugiati”, come ha denunciato la Malmström. Un’Europa che, tantomeno, è riuscita a definire una politica estera comune – perché governi e cancellerie nazionali non intendono condividere questo aspetto della loro sovranità -, che le conferisca rilevanza internazionale e la renda in grado di interloquire in modo costruttivo con i tanti “vicini di casa” dove democrazia e diritti umani sono ancora un miraggio.
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