Ma di quali scuole stiamo parlando?

Lezioni tenute all’aria aperta passeggiando con gli allievi in spazi ameni; attività didattiche rivolte a gruppi eterogenei con ragazzi di diverse età radunati in un giardino fiorito pervaso di profumi e vissute in pieno relax; insegnanti che svolgono la loro opera senza né cattedre, né banchi, ma anche senza lavagne, senza libri e senza alcuna scansione oraria; argomenti affrontati mediante dialoghi continuamente stimolati e sostenuti dagli stessi allievi non soggetti a valutazione. Vanno aggiunti, naturalmente, momenti di evasione vissuti in comune con insegnanti e genitori in spazi scolastici aperti dove trascorrere, tra un panino e una bevanda analcolica, occasioni di dialogo e di approfondimento. Di cosa stiamo parlando? Di scuole. Sono le scuole dei grandi filosofi come Aristotele, Epicuro, Pitagora, Protagora descritte da Diogene Laerzio, ma che a ben guardare sembrano che abbiano ispirato il gruppo di lavoro del Ministro Profumo nell’emanare le «Linee guida» dei nuovi edifici scolastici. Un documento di una ventina di pagine, a cui dovrebbero, d’ora in poi, ispirarsi i progettisti nel costruire le future scuole. Via le vecchie aule con sedie banchi, cattedre e lavagne per fare spazio a luoghi “open space” arredati con pouf, divani e tappeti su cui sdraiarsi; via aule schematizzate da muri “ancien regime”, sostituite da spazi divisi da pareti mobili e intercambiabili tra loro collegate; non più corridoi lunghi su cui si affacciano aule strutturalmente chiuse da porte inutili per sostituirli da ambienti aperti e attrezzati con strumenti digitali e tecnologici; non più laboratori protetti e angusti ma ambienti areati, arredati in tutto relax, ritenuti un’ottima occasione per sviluppare il cosiddetto «apprendimento informale». Di un certo interesse è il suggerimento dato ai progettisti di non far mancare, nelle future costruzioni scolastiche, «l’agorà», una piazzetta intesa come una piccolo luogo d’incontri dove alunni, genitori e insegnanti possano trascorrere esperienze comuni di vita mediante «feste, spettacoli, assemblee, esposizioni di opere fatte dai ragazzi», un luogo funzionale adatto a soddisfare le particolari esigenze sociali e formative della stessa comunità scolastica. Una comunità non più strettamente riferita a studenti, insegnanti e personale scolastico, ma aperta all’altra metà della società civile che di quella scolastica è parte integrante. Scuole, dunque, non più tradizionalmente intese, ma vissute come «home base», ovvero ambienti pubblici dove non manca nulla, dove le occasioni culturali si confondono e si alternano a occasioni formative, dove il tempo non ha più una sua specifica dimensione temporale, ma al contrario consentirà di riunire in un unico spazio ragazzi diversi per età, cultura e condizione sociale coinvolti in processi di arricchimento formativo offerti da occasioni di vita sociale. Si può benissimo dire che non c’è alcuna differenza tra le scuole dei nostri grandi filosofi del passato e le future scuole suggerite dalle «Linee guida» ministeriali. Se pensiamo che la gran parte delle nostre scuole oggi presentano caratteristiche costruttive che non hanno nulla in comune con le nuove «Linee guida», c’è da chiedersi dove si andranno a reperire le risorse necessarie per costruire queste oasi culturali e formative? Chi aiuterà le scuole a dotarsi di infrastrutture e attrezzature tecnologiche così avveniristiche in un periodo in cui si continua a limare i bilanci e a porre veti su specifiche iniziative di reperimento risorse? E’ vero quando si dice che la futura scuola deve essere un luogo anche a valenza sociale, un luogo aperto alle iniziative senza che queste ultime siano sottomese a precisi orari scanditi da contratti e contrattazioni. E’ vero anche che in certi paesi europei queste indicazioni sono in larga misura già patrimonio culturale e sociale. Ma da noi tutto questo è possibile? E’ possibile pensare alla realizzazione di uno scenario scolastico così paradisiaco? Se questo fosse possibile, allora preferisco rimanere in servizio fino a senescenza inoltrata e godere delle nuove strutture con la promozione nella mia scuola di banchetti con la porchetta, libagioni, happy hour a base di trippa, giocate a tresette, serate di tango e ballo liscio. Ma probabilmente nella situazione in cui ci troviamo, forse è meglio essere pragmatici e pregare il buon Dio che la giornata finisca senza problemi. Diciamo pure che attualmente le «Linee guida» appena emanate rimangono sulla carta come pia illusione. Come si fa a ipotizzare la costruzione di edifici scolastici simili ai giardini pensili dell’antica Babilonia, quando dobbiamo fare i conti con strutture scolastiche pre-belliche, soffitti ridotti a gruviera, intonaci che cascano, laboratori con attrezzature sofferenti, docenti precari non pagati per mancanza di risorse economiche. E l’elenco potrebbe continuare, ma è meglio non approfondire e affidarsi alla speranza di benefattori che colpiti nella loro stessa sensibilità si facciano interpreti delle sofferenze minacciose che avviliscono l’opera e la professionalità di chi lavora con i ragazzi con immutato entusiasmo e rinnovata passione. Quante volte mi capita di incoraggiare i docenti a superare i motivi della ragione e scoprire i valori del cuore, a superare le certezze del ragionamento e scoprire l’importanza e il vantaggio dell’intuito. E’ un modo come un altro di andare oltre la certezza dei limiti imposti dalla realtà circostante e scoprire l’importanza della propria e dell’altrui emozione il cui utilizzo consente, talvolta e non senza qualche sacrificio, di raggiungere determinati obiettivi sia professionali che formativi, sia scolastici che educativi. So benissimo che in mancanza di condizioni ritenute indispensabili per l’attuazione di quanto suggerito dalle «Linee guida» ministeriali in fatto di nuove costruzioni di edifici scolastici, c’è chi preferisce portare l’attenzione su altri problemi, ritenendoli prioritari nella scala degli interessi generali. E’ come dire meglio non pensarci. O meglio. E’ preferibile pensare ad altro e vedere in quest’altro una priorità. Pascal affermava che «gli uomini non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno creduto meglio per essere felici, di non pensarci». Ecco probabilmente si cerca nelle «Linee guida» l’occasione per non pensare alle condizioni in cui versano tante scuole proprio per evitare di lasciarsi prendere dall’angoscia e continuare a sperare che prima o poi le cose cambieranno. Sperem.

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