Oggi, lunedì 19 marzo, ricorre il decimo anniversario dell’assassinio di Marco Biagi: un marito, un padre di famiglia, un appassionato studioso, un fedele servitore del Paese bersaglio di un’odiosa ed insistita violenza verbale che ha armato la mano di menti malate. Con lui, il Paese ha perso una lucidissima intelligenza, votata a garantire tutele aggiornate per le persone coinvolte sempre più in rapporti di lavoro flessibili ma privi di sicurezza sociale. Quanto preziosa avrebbe potuto essere la sua competenza e la sua dirittura morale!Infatti, proprio in questi giorni prosegue un confronto che presuppone riforme del mercato del lavoro sicuramente irrinunciabili. Ci auguriamo che avvenga tenendo presente l’autentica centralità della persona, che deve sì coniugarsi alle obiettive esigenze di un mondo produttivo bisognoso di flessibilità, senza però subirne i dirompenti effetti della trasformazione in precarietà. Dieci anni fa Marco Biagi cercava di rispondere ai tanti perchè del lavoro nell’era della globalizzazione: il lavoro che manca, le tante forme del lavoro precario, un lavoro non più capace di assicurare un futuro di certezze alle giovani generazioni.Marco Biagi è stato fermato, nel modo più vile. Ma i perchè sui quali studiava ed elaborava rimangono attuali: una attualità che si è fatta drammatica per migliaia di giovani.I ragazzi in questo decennio hanno continuato a chiedersi perchè a loro, che sono il futuro della nostra società, venga negata ogni certezza. Perchè, per quale obiettivo debbano continuare a studiare. Perchè a loro venga riservato un futuro di negazioni, piuttosto che di crescita.La mancanza di risposte a questi perchè ha messo a dura prova la fiducia delle giovani generazioni verso il modello sociale costruito dai loro padri. Ha messo a durissima prova la loro pazienza, la loro disponibilità ad attendere risposte che non arrivano mai. Occorre allora riprendere urgentemente il lavoro di Marco Biagi: un giuslavorista impegnato a proteggere i giovani con un lavoro precario e far sì che avessero dei diritti.Nell’affettuoso e straordinario ricordo della moglie Marina, “Marco era consapevole che la società si stava trasformando e che avere un lavoro per tutta la vita, lo stesso a tempo indeterminato, sarebbe stata una cosa molto difficile, che sarebbe arrivata tardi nella vita delle persone. Aveva in mente che bisognava difendere i lavori brevi. Purtroppo, diceva Marco, ci sarà questa flessibilità, però dobbiamo renderla protetta, fare in modo che le persone che hanno un lavoro precario abbiano anche dei diritti, che una persona non trovi un lavoro in nero.”E’ esattamente il compito che ci attende ancora oggi: una realtà che dobbiamo affrontare senza essere schiavi dell’ideologia, ma partendo dalla riflessione sull’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, sulla formazione professionale, sulla ricomposizione delle troppe segmentazioni del mercato del lavoro.
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