L’11 dicembre prossimo, la Casa circondariale di Lodi compirà, nel suo assetto attuale, cento anni. Non gliene auguriamo altri cento. Senza rancore. Ma fa rabbrividire una denominazione quale «Hotel Cagnola» (dal nome della via ove si trova il carcere cittadino), che pure è apparsa sulla stampa. Chi trascorrerebbe una sola notte in una stanza d’albergo di undici metri quadrati, in compagnia di cinque sconosciuti? Con il bagno separato dall’ambiente in cui si mangia, si dorme, si vive, soltanto da un muro (bagno? tazza, lavandino e ornelletto – un bagno-cucina dunque -, per la doccia occorre aspettare il turno in altro locale). Senza sapone, senza dentifricio, senza carta igienica (per averli occorre inoltrare istanza attraverso l’apposita «domandina»). Con un solo pasto caldo al giorno, consumato in branda perché tutti seduti intorno al tavolo non ci si sta.Lodi non costituisce eccezione rispetto alla situazione nazionale di sovraffollamento: al 30 giugno scorso gli uomini ristretti nella Casa circondariale cittadina erano 95, a fronte di una capienza “regolamentare” di 51 posti (fonte: Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria).Ma anche la denominazione «Collegio Cagnola» lascia perplessi, per quanto il modello dell’obbedienza dei reclusi, a fronte del proprio accudimento, rimandi alle istituzioni educative dell’età moderna, ove bambini e adolescenti vivevano separati dal mondo adulto. È consolatorio voler pensare che la condizione in cui si vive non sia in assoluto la peggiore, che vi siano altri ancora più ultimi, ancora più oppressi, ancora più dannati. Meglio un collegio di un carcere. I detenuti non fanno eccezione a questa via di fuga, interiore e umanissima. Occorre ricordare, tuttavia, che i reclusi non sono soggetti liberi di esprimersi (né di assumere decisioni), perché la loro priorità è sopravvivere (all’istituzione penitenziaria, alle guardie, ai compagni, a sé stessi), per settimane, per mesi, per anni. «Sei nella palta, sai che ci devi restare. Così, ti adatti» ha scritto il Detenuto Ignoto. E se anche i ristretti giurassero di avere assoluta libertà di parola, non ci sarebbe da credergli. La libertà di pensiero è la sola data a questi uomini, e non è facile custodirla: proprio perché invisibili, le catene della mente sono ardue da sciogliere.L’11 dicembre prossimo, la Casa circondariale di Lodi compirà cento anni. Le celebrazioni inizieranno il 18 settembre.Di una istituzione totale ha senso scrivere la storia; dipanare i racconti individuali e collettivi di cui un luogo di dolore - non a caso chiamato di pena - serba memoria; restituire dignità alle vite di quegli «uomini infami» (come già fece Michel Foucault) che se non avessero incontrato, con proprio danno, il potere giudiziario non avrebbero lasciato traccia di sé nella storia, dalla quale sono assenti, sempre. Ha senso. Ma che non sia davanti agli «uomini infami» che in Cagnola sono attualmente detenuti. Non hanno bisogno di conoscere il carcere di ieri, non ora: conoscono quello di oggi, lo vivono ogni giorno sul proprio corpo. Si racconti il carcere di ieri e, soprattutto, si parli di quello di oggi agli abbienti, ai benpensanti, a quelli nati dalla parte giusta.Niente celebrazioni, per favore. Di una istituzione totale si celebra non l’inizio, ma la fine.
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