Con circa 100 copie ogni 1.000 abitanti, l’Italia è uno degli ultimi Paesi in Europa per diffusione di quotidiani, davanti solo a Portogallo e Grecia (fonte World Association of Newspapers). Non si tratta tanto di un problema di ordine economico *sindaco di Lodi
ed imprenditoriale, legato allo sottosviluppo di un settore produttivo come un altro, quanto di un problema culturale e di partecipazione democratica, perché il basso consumo di giornali significa bassa domanda di informazione, in particolare quell’informazione di approfondimento e articolata nel confronto tra fonti e posizioni diversificate che la stampa riesce per sua natura a garantire in modo più appropriato rispetto ad altri mezzi di comunicazione (in Italia, tipicamente il mezzo televisivo, essendo altri canali ancor meno orientati a svolgere questo ruolo, come quello radiofonico dedicato prevalentemente all’intrattenimento, o penalizzati da una ridotta capacità di penetrazione, come quello telematico, a cui nel nostro Paese accede una quota di utenza anche in questo caso sensibilmente inferiore alla media Ue).
Se la domanda di stampa quotidiana stenta ad ampliarsi, soffrendo al contrario di una lenta ma costante regressione, l’offerta appare invece quanto mai ricca, benché caratterizzata da tassi di mortalità delle testate superiori a quelli di natalità, indice di difficoltà delle imprese editoriali ad affermarsi su un mercato asfittico, ulteriormente penalizzato in questi anni di crisi economica dalle forte riduzione degli introiti per la vendita di spazi pubblicitari. Con queste premesse, la domanda se sia opportuno che lo Stato continui ad offrire sostegno economico alla stampa sembra avere una risposta senza esitazioni positiva.
La riforma prospettata dal Governo per il fondo per l’editoria non sembra invece cogliere questa necessità, basata com’è su un criterio di tagli lineari che non permette di distinguere, nel novero dei potenziali beneficiari delle provvidenze pubbliche, tra le testate che sono effettive espressioni di realtà no profit, cooperative, associazioni e movimenti di opinione e quelle che si accreditano come tali ma lo sono solo nominalmente.
Che il sistema di contribuzioni alla stampa esiga una radicale revisione è fuori di dubbio, proprio a causa degli eccessi e delle distorsioni a cui il meccanismo attualmente in vigore si presta; che la soluzione sia rappresentata da un taglio indiscriminato che colpisce virtuosi e “approfittatori” è invece falso.
In gioco non c’è solo il destino di imprese che complessivamente danno lavoro a migliaia di persone ed alimentano un significativo indotto (nel settore tipografico, in quello dei trasporti e delle consegne, sino alla rete delle edicole, ultimo anello della filiera della stampa), ma una posta ancor più importante, che potremmo sintetizzare nell’espressione “democrazia consapevole”, perché l’informazione aiuta a conoscere e conoscere è il presupposto fondamentale per scegliere e decidere.
Ma perché il sindaco di un piccolo capoluogo di Provincia avverte l’esigenza di pronunciarsi su questo tema?
La risposta è tra le pagine che oggi ospitano questo mio intervento ed ogni giorno ne ospitano molti altri.
Pagine che costituiscono uno spazio insostituibile per una comunità locale, in cui poter esprimere posizioni tra loro diversificate ma che complessivamente forniscono la rappresentazione del dibattito e del confronto di un territorio, pur preservando sempre il giornale in modo chiaro ed inequivocabile i valori e l’identità specifici che intende promuovere.
Pagine che veicolano idee, riportano fatti, annunciano eventi e rendono, così, un servizio, senza il quale il Lodigiano sarebbe più povero culturalmente, meno saldo nel suo senso di appartenenza, e con una distanza più marcata anche tra le istituzioni e l’opinione pubblica.
Tutto ciò, viene garantito con il rigore della consapevolezza di un ruolo delicato e fondamentale, senza compiacenze né, al contrario, preclusioni nei confronti di nessuno, in un rapporto trasparente sia con i lettori che con gli interlocutori istituzionali, che trovano nel giornale stimolo, verifica e collaborazione (in termini di divulgazione delle informazioni) per la loro azione quotidiana, secondo un modello che si replica con caratteristiche analoghe in tanti altri contesti territoriali del nostro Paese.
Ecco allora perché privare l’Italia di questo strumento recherebbe più danni alla democrazia ed alla partecipazione di quanti potrebbero essere i benefici di un risparmio conseguito senza valutare meriti e abusi, come è stato puntualmente rilevato anche dal Presidente della Repubblica.
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