All inclusive, questo è il titolo di un interessante articolo di pochi mesi fa su come stanno cambiando i modelli di sviluppo dei parchi scientifici e di ricerca in relazione alle nuove sfide globali e per rimanere al passo con i tempi. Questo tipo di insediamenti, chiamati parchi scientifici, parchi tecnologici, parchi industriali, o tecnopoli si sono caratterizzati, negli ultimi trent’anni, come offerta di servizi di supporto ad aziende innovative e per il contributo fornito in termini di cambiamenti significativi per le economie regionali.Infatti molto spesso, è il commento del Presidente dello IASP (l’associazione internazionale dei parchi scientifici e tecnologici), questi parchi vengono visti come una “pallottola d’argento” in grado di migliorare in poco tempo l’abilità e la competitività di un territorio, regionale o locale, nelle sfide su tecnologia e società della conoscenza.La realtà è purtroppo molto più complessa, come testimoniato anche dal nostro progetto lodigiano del “Parco Tecnologico Padano” che ha interpretato questa sfida portando fuori confini il territorio con riconoscimenti che vanno probabilmente al di là di quanto fosse sperabile, ma che oggi è obbligato attraverso un piano industriale a ridefinire i suoi obiettivi, i suoi servizi e le sue attività di sviluppo. Il paese è in crisi, si spera molto nelle misure nazionali e regionali che stanno guardando al mondo delle imprese nuove ed innovative, le cosiddette start up e gli incubatori certificati, se ne parla, molto più di prima, e questo è un bene. E’ in questo contesto che i parchi scientifici devono crescere, modificare la propria missione, e ora devono svolgere il loro ruolo di catalizzatore del cambiamento economico, non più in sistemi chiusi ma in sistemi dell’innovazione aperti, soprattutto ai sistemi imprenditoriali. I parchi scientifici devono servire oggi a mettere a sistema e valorizzare i territori, creare una connessione forte tra Enti pubblici, Università ed Aziende, stabilire cosa differenzia sul mercato l’offerta territoriale e, ancor più importante, creare una varietà di opzioni di spazi e servizi per l’innovazione. Nel corso dell’ultimo decennio questa esigenza di connessione è notevolmente mutata, insieme ai cambiamenti epocali avvenuti ed in particolare alla crisi economica, mettendo pesantemente in discussione il modello tradizionale di parco scientifico.I mega-trend come l’ economia verde, le smart-cities, la biologia by design, big data, open innovation, hybrid sensemaking, sono tutti modelli degli ultimi 5 anni che hanno radicalmente trasformato le industrie piu’innovative. Non si può continuare a pensare con gli stessi schemi di 10 o 15 anni fa.Una nuova mappa globale della tecnologia mostra come le Università si stiano trasformando in motori economici in grado di “produrre” conoscenza. Stanno cambiando i modelli di organizzazione aziendale e come queste si rapportano, competono, collaborano e si co-localizzazino o aggregano nei settori economici. Queste e altre modificazioni hanno cambiato il modo di lavorare, di pensare, di vivere.Nelle nostre economie regionali va a modificarsi il ruolo dei parchi scientifici da driver dell’innovazione a qualcosa da realizzare di più largo ed inclusivo e soprattutto autosostenibile. Le risorse devono essere autogenerate dalle attività svolte, difficile ma possibile. Il parco scientifico deve diventare, all’interno dei nuovi e complessi ecosistemi regionali, lo strumento che combina, fa nascere e lancia attività scientifica, innovazione e futuro industriale.Il modello stesso del Parco Tecnologico Padano qui a Lodi era stato pensato per un economia tradizionale, non in crisi; oggi drammaticamente questi cambiamenti globali incidono nell’attività del parco e nel piccolo sulla vita quotidiana. Cambiamenti che radicalmente ridisegnano le stesse comunità locali in un modo che non era prevedibile accadesse. Nel lodigiano, dove i problemi che si riscontrano sono uguali a quelli di molti altri territori, l’occupazione oggi è prioritaria. Industrie che si delocalizzano o chiudono, l’ agricoltura che con le novità della Pac è chiamata in parte a ridisegnarsi, ed a cascata problemi sul tessuto sociale sul quale si è chiamati ad attivare strumenti di emergenza e non di programmazione. Penso che tutti si interroghino su quale industria ci sarà a Lodi tra vent’anni e quale lavoro faranno i nostri figli. In tutto questo scenario quale può essere il ruolo del Parco Tecnologico Padano nel Lodigiano del futuro?La partita da giocare è quella della attrattività dei territori, che oggi si esprime in una competizione globale su vantaggi di localizzazione per diverse categorie di interlocutori in termini di accessibilità, costo, disponibilità di risorse uniche e disponibilità di risorse specializzate.Da qui quindi viene naturale pensare di esprimere la vocazione di Lodi in settori economici ad alto valore aggiunto applicato all’agricoltura, all’alimentare, all’ambiente ed alla chimica di nuova generazione che oggi impatta sull’energia, sulla cosmetica e sulla farmaceutica. Ma come?La ricetta del lodigiano racchiude in potenza tutti gli elementi migliori: tradizione, cultura del lavoro e del saper fare, conoscenza, innovazione e localizzazione. Ora si tratti di connetterli, utilizzando gli strumenti adatti, anche di natura finanziaria. Fari si che questi strumenti permettano di lavorare in un sistema locale ma fortemente connesso con l’esterno quindi competenze e risorse umane qualificate, reti ed imprese, mercati globali.Fare sistema, fare del lodigiano un laboratorio per il futuro in cui tutti gli attori del sistema riescano a muoversi in modo congiunto: le istituzioni pubbliche, le associazioni di categoria, le associazioni sindacali, le banche e le istituzioni economiche, l’Università ed il Parco Tecnologico. Da solo, nessuno di questi elementi è in grado di farcela o di cambiare le cose.
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