L’Unione Sovietica, ai tempi del socialismo reale, contava su un formidabile dispositivo antincendio costituito da seicento aeroplani, ottomila uomini del soccorso e settantamila guardie forestali. Un vero esercito. “Una macchina completa in grado di difendere un patrimonio boschivo straordinario”, spiegava con cifre e commenti Russia Oggi, inserto pubblicato da Rossiyskaya Gazeta (la Repubblica, 22 novembre 2012). La stessa fonte riferiva che, dopo la caduta del muro di Berlino e in corrispondenza del periodo 1991-2002, questo possente apparato si è in pratica dissolto, con danni incalcolabili all’ambiente sia in termini economici (10 miliardi di dollari solo nel 2010), sia in termini di inquinamento da gas serra. I motivi? Sono i soliti, quelli che ben conosciamo anche noi: tagli indiscriminati alla spesa pubblica, errati criteri di priorità, incertezze politiche. Questi pensieri mi vengono in mente, mentre l’Australia brucia in roghi apocalittici e in Italia sono ancora calde le ceneri di passati incendi. Non occorre citare altri dati per affermare che in Russia anche nell’uso del suolo, che costituisce il secondo fronte caldo dell’annosa questione ambientale, la situazione peggiora di giorno in giorno, sia per la forte crescita dell’edilizia commerciale e residenziale registrata in questi anni, sia per la vertiginosa espansione dello sfruttamento industriale di un suolo ricco di minerali pregiati, gas, petrolio e altre materie prime. Un quadro similare, caratterizzato da una generale tendenza alla cementificazione del territorio, si riscontra in Polonia e in Romania e, in generale, nei Paesi un tempo facenti parte della cortina di ferro, secondo quanto si rileva dai dati del progetto europeo Corine Land Cover per il quinquennio 2001-2006. In breve, il degrado dell’ambiente si diffonde in Europa come una malattia contagiosa che si propaga con forza inesorabile da ovest verso est, travolgendo operose comunità contadine e antichissimi equilibri ecologici.Non so quanto sia lecito generalizzare un tale andamento, ma non si può scacciare l’impressione che nella difesa dell’ambiente l’Occidente europeo e le nuove democrazie succedutesi ai regimi comunisti dell’est facciano molto peggio delle tanto vituperate dittature rosse. Questo fatto disorienta perché si è abituati ad associare alla conquista della libertà e dei diritti civili la capacità di instaurare un rapporto armonico tra l’uomo e l’ambiente, fatto di amore e rispetto, come se la democrazia fosse frutto non solo di cultura e maturità sociale, ma anche di una visione religiosa e sacrale della natura. Inoltre sconvolge perché umilia l’identità delle istituzioni democratiche e ne indebolisce la capacità di indicare mete e ideali.Questa lunga premessa aiuta a capire perché oggi l’Occidente, con il nostro Paese in prima fila, versa in una profonda crisi economica, morale ed esistenziale, e non riesce a imboccare la rotta di un nuovo rinascimento, allo stesso modo in cui al naufrago Ulisse un avverso destino impediva il ritorno nella terra dei padri.Bisogna avere il coraggio di mettere mano a cambiamenti radicali nella nostra società sempre più impoverita e disillusa, trovare modelli di sviluppo sostenibile che non siano ingannevoli o di pura facciata, fare barriera contro il male oscuro della corruzione e delle disuguaglianze.A furia di grattare affiora dalla patina di stanchezza e rassegnazione l’entusiasmo della partecipazione, che è strumento provvidenziale per scompigliare i giochi di una politica parolaia e spettacolare, più attenta al tornaconto individuale che ai valori e al bene comune. Le elezioni alle porte potrebbero costituire l’occasione per farci sperare e sognare un’Italia diversa, più onesta e pulita. Ma i toni aspri ed esagitati della campagna elettorale e l’assenza di un pensiero forte nei diversi programmi politici e nelle Agende più blasonate non fanno presagire, fino a questo momento, qualcosa di buono.
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