Uno degli interrogativi che ha segnato la mia gioventù toccava un nervo scoperto della mentalità corrente: “Perché mettere al mondo dei figli quando la loro esistenza si riduce a qualche decennio e si conclude con la morte?”. Per di più con una scelta che, per il figlio, «non è mai una scelta», per la semplice ragione che «non ci viene chiesto prima se vogliamo nascere». Ho trovato la mia risposta in quella che Joseph Ratzinger non chiama “anima” ma “apertura all’Infinito” e che non rinchiude l’esistenza in un grumo cronologico ma la dilata, la fa sporgere oltre, pur rimanendo saldamente ancorata alla propria storia. Solo così il percorso terreno diventa un peregrinare, ricchi del «seme della vita eterna» che, per libera scelta, i primi educatori del bambino, cioè i genitori, hanno chiesto alla Chiesa con il Battesimo, inteso come «nuova nascita, che avviene grazie allo Spirito Santo nel grembo della Chiesa».Questa «scelta fondamentale» non condiziona il figlio, lo indirizza sulla strada percorsa da coloro che per lui non sono soltanto generatori biologici ma «testimoni della fede». Se vale un paragone: sarebbe come non decidere in quale lingua parlare al proprio figlio, lasciandogli la decisione della scelta una volta divenuto adulto. È grande gioia per Papa Benedetto amministrare il Battesimo ed insegnare ad accogliere sia la grande missione sia la vita «come un dono e, in un certo senso, ‘diventare’ ciò che già siamo: diventare figli»; questa l’apertura che consente anche a chi non genera biologicamente di diventare «genitore moralmente».Non è facile per i genitori educare i propri figli ma non è impossibile, l’esortazione papale conosce due poli, l’uno legato alla negatività, l’altro alla positività: l’educatore non è possessivo, l’educatore plasma «a conoscere la verità», non come acquisizione intellettiva ma come postura di fondo, per sviluppare «un rapporto personale» che, dal Battesimo, accompagna sempre la persona e la fonda sulla certezza che «ognuno di noi è voluto, è amato da Dio. E anche in questa relazione con Dio noi possiamo, per così dire, ‘rinascere’, cioè diventare ciò che siamo», figli di Dio. La relazione di fede non è altro che «un ‘sì’ profondo e personale a Dio come origine e fondamento della mia esistenza». Da qui scaturisce l’accoglienza profonda che innerva ogni minuto dell’esistenza e ogni sentire umano perché la vita è «dono del Padre che è nei Cieli, un Genitore che non vedo ma in cui credo e che sento nel profondo del cuore essere il Padre mio e di tutti i miei fratelli in umanità, un Padre immensamente buono e fedele». Dono del Figlio incarnato. Sarebbe drammatico scoprirsi soli e abbandonati nell’impresa di credere e di educare che supera ogni forza ed energia umana. Dio stesso però ci accompagna e «vuole darci soprattutto Se stesso e la sua Parola: sa che allontanandoci da Lui ci troveremmo ben presto in difficoltà».Il vortice inghiottirebbe «la nostra dignità umana» che, al contrario, si rinvigorisce conoscendo e amando «le sorgenti della salvezza»: la Parola di Dio e i Sacramenti. Papa Benedetto insiste sempre su di un punto preciso, da cui non si schioda: «L’iniziativa non è nostra», nostra è solo la disposizione di desiderio, sostenuta dallo Spirito, se la nostra vita è vita di preghiera, di relazione con Dio, di comunione con Lui. Il grande segreto è svelato: i genitori oranti sanno mettersi «in ascolto delle ispirazioni di Dio», per attuare quanto loro spetta ma devono, in primo luogo e soprattutto, «affidare i figli a Lui, che li conosce prima e meglio di noi, e sa perfettamente qual è il loro vero bene».“L’apertura all’Infinito” allora è gioiosa scoperta che i genitori comunicano ai figli e non destino di chi è gettato nel tempo, come sostengono alcune filosofie distruttive, incapaci di riconoscere quella Mano che benedice il frutto del grembo e rende eterna un’esistenza che se conosce la sua fine, sa leggerla in chiave di fiducioso e riconoscente abbandono in quella Mano creante.
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